Il Gattopardo e I Viceré: tra decadentismo e gotico – Mattoni Italiani Extra
Due classici sull’Italia Risorgimentale a confronto: analisi degli elementi di distacco e di sovrapposizione
Siamo abituati a considerare i periodi storici e le correnti letterarie createsi al loro interno come tessere di un domino, che procedono in sequenza, in un rapporto di causa ed effetto. Pensate a come ci viene insegnata la Storia: come un assemblaggio di tasselli separati, da poter ricomporre a piacimento. Prima c’è il Medioevo, poi il Rinascimento; prima c’è l’Illuminismo, poi il Romanticismo, e così via. È una versione semplificata dei fatti, sicuramente utile per la didattica, ma che diventa limitante nello studio delle Arti e delle Lettere. Perché ogni grande opera (e ciascun individuo che l’ha creata) trascenderà sempre qualsiasi tendenza e contingenza storica-culturale che ha contribuito a crearla.
Lo dimostra il lasso temporale a cavallo tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, un’epoca che ha prodotto dei capolavori letterari che inglobano idee contrastanti, dinamiche antitetiche e forti contaminazioni provenienti da più generi e da più filosofie. È il caso de Il Gattopardo, un esempio di “realismo modernista”1 (con accenni decadenti), così come de I Viceré, e in verità tutto il ciclo degli Uzeda, una saga familiare che combina elementi gotici e veristi, in una formula originale di “positivismo inquieto”2.
In questo approfondimento scopriremo come elementi e definizioni tanto distanti tra loro possano convivere e, anzi, accordarsi in felici combinazioni nei romanzi di questi autori.
L’età della crisi: la letteratura italiana scissa tra gotico e tardo-romanticismo, decadentismo e verismo
Per comprendere appieno la ricchezza e la varietà culturale che animava l’Italia tra il Diciannovesimo e il Ventesimo secolo, tradizionalmente si indica l’anno 1881, data in cui uscirono sia I Malavoglia di Giovanni Verga, l’opera più rappresentativa del Verismo, sia Malombra di Antonio Fogazzaro, che ricadeva invece nel filone tardo-romantico con elementi gotici ma con anche anticipazioni dal carattere decadente. Poco dopo, nel 1889, vennero pubblicati a Milano, dall’editore Treves, sia Mastro-don Gesualdo, un altro romanzo verista di Verga, sia Il piacere, il primo romanzo di Gabriele D’Annunzio, oltre che emblema del Decadentismo estetizzante.
Si tratta di opere apparentemente contrapposte che vedono la luce nello stesso periodo storico e, per certi versi, generate dalla stessa esperienza traumatica della modernità con l’avvento della società di massa e la conseguente “perdita dell’aureola” dell’Intellettuale, oltre che dall’ascesa delle macchine e dall’instaurarsi di un dominio tecnologico.
La Letteratura rispose a questi problemi con reazioni diverse e a tratti sincroniche: chi, come i Naturalisti, appropriandosi degli strumenti della Scienza, delle tecniche di osservazione oggettive (o pseudo tali) e degli apporti della filosofia positivista e alle teorie evoluzioniste; chi, invece, come i Decadenti, si avvalse del soggettivismo per accedere a mondi arcani e invisibili, riscoprendo il passato gotico e altri motivi “oscuri” e maledetti, facendo ricorso al simbolo e alla parola poetica come chiave di accesso per l’ignoto. Da un lato la lente del microscopio, dall’altro la parola del Veggente.
La produzione romanzesca quindi venne attraversata da entrambe queste correnti, quelle veriste e decadenti, che convissero in Italia per moltissimo tempo, permettendo agli autori di pescare sia dall’una che dall’altra, ma anche permettendogli di contaminarle, creando opere varie e sorprendenti, lontane dalle semplici etichettature. La coesistenza dei fenomeni culturali, in un territorio fortemente frammentato e variegato come l’Italia, diventa allora una fonte a cui attingere per la creazione di romanzi “unici” e peculiari.
Prendiamo, per esempio, il Verismo, che uno studio superficiale potrebbe considerare come il corrispondente della corrente realistico-naturalistica europea che vede in Balzac, Flaubert e Zola i suoi maestri. In realtà, il fenomeno verista – forgiato da Capuana e Verga – in Italia assunse caratteristiche singolari e proprie. A cominciare dal primato della forma artistica ed estetica – laddove invece molti Naturalisti sacrificavano lo stile all’idolo dell’oggettività assoluta di resa e osservazione del reale – fino alla scelta dei temi e dei soggetti rappresentati. Mentre il Naturalismo si è occupato principalmente di ambienti e classi sociali urbanizzati, alle prese con l’industrializzazione del loro ambiente quindi proletari e borghesi, il Verismo accentra le sue energie nell’ambiente rurale e di provincia, che ovviamente era l’ambientazione tipica di un’Italia con pochi grandi centri.
Come fa notare Alberto Asor Rosa3, poi, la scelta di riprendere questi contesti rende inevitabile, soprattutto in Meridione, registrare anche una filosofia decisamente distante dal positivismo scientifico e dall’ideale di progresso “realista”. Anzi, nei romanzi veristi emerge una mentalità “antistorica” e una concezione ciclica della vita umana, un discorso refrattario al cambiamento e immobilista. Vedremo tra poco i casi de Il Gattopardo e de I Vicerè. “I germi di quel pessimismo, che caratterizza in maniera indelebile il nostro verismo” e che sono il frutto delle delusioni risorgimentali e dell’eterna “questione meridionale” sono ancora oggi un’eredità difficile da gestire. Si veda a questo proposito anche l’opera di Pirandello e Sciascia.
Ma anche altri autori, pur adottando il registro “realista” o addirittura giornalistico, che necessita di una certa “impersonalità” del narratore, nei loro romanzi spesso si avvicinano ad altre soluzioni formali, più sensazionalistiche e irrazionali. Ritorna prepotentemente nella letteratura di consumo, ma non solo, anche il genere gotico con nuove declinazioni e prospettive moderne, come, per esempio, il gotico urbano. L’Italia, che era stata a lungo l’ambientazione dei romanzi gotici anglosassoni, riscopre parte di questa tradizione con autori come Matilde Serao, il già citato Antonio Fogazzaro e Igino Ugo Tarchetti.
Per approfondire leggi anche:
Il Gotico italiano: un genere marginalizzato
Analisi di una narrativa ibrida che ha mescolato gli elementi tipici dei racconti gotici a quelli della realtà e della quotidianità, e che si differenzia rispetto al Gotico europeo
Oltre a queste sovrapposizioni tra gotico, Naturalismo e Decadentismo, all’analisi del romanzo italiano di questi anni si aggiungono degli elementi lasciati finora in disparte ma fondamentali per la comprensione del contesto italiano, ovvero le peculiari condizioni storiche dell’Italia post risorgimentale. La delusione per l’esito del processo di unificazione diventeranno un tema fondamentale per la letteratura del secondo Ottocento e del Novecento, e risulta particolarmente evidente in alcuni dei maggiori autori di origine siciliana come il già citato Pirandello, ma prima ancora nell’opera di Verga e soprattutto in Federico De Roberto (a cui poi farà da eco anche Tomasi di Lampedusa).
A rendere l’opera di De Roberto particolarmente interessante è proprio la commistione di stilemi e motivi provenienti sia dal Naturalismo (e dal Verismo) sia dal “romanzo nero”, con atmosfere gotiche e “infestate”, facendone il perfetto esempio della letteratura di fine secolo.
Con il ciclo degli Uzeda, uscito per altro solo qualche anno dopo il fatidico 1881, l’autore imbottiglia il tema decadente della famiglia aristocratica corrotta, ottenendo una miscela originale e venefica, ben rappresentativa delle forti tensioni e del clima marcescente (ma rigoglioso a livello letterario) del tempo.