Mancano le idee nella cultura italiana o fa solo molto caldo? – Inside Books #31
Il caso della Scuola Holden e la macchina dell’indignazione programmata
Nel panorama desolante del dibattito culturale italiano, era ovvio che un episodio ininfluente come quello che ha infelicemente visto protagonista la Scuola Holden diventasse un caso. Sì, lo so, forse ve ne sarete addirittura scordati, ma a me piace ragionare a mente fredda.
Riepilogo per i meno attenti: a giugno esce sui social lo sfogo di una ex studentessa di uno dei Master della Holden di Torino, ovvero la “scuola per narratori” o di storytelling, come si usa dire al giorno d’oggi, più famosa d’Italia. Non è che ce ne siano moltissime, c’è da dire.
Cosa si dice in questo post? Sinceramente, poco di concreto. Non c’è un singolo fatto, soltanto un malcontento generalizzato sul trattamento ricevuto, smentendo di fatto che la Holden, come citato sul loro sito, si chiami così “perché l’idea era quella di fare una scuola da cui Holden Caulfield non sarebbe mai stato espulso. Un posto per gente non normalissima, ecco”. Invece, l’ex studentessa sostiene proprio il contrario: che la diversità non è ben accolta, che non si fa altro che lisciare il pelo ai docenti, che la competizione tra gli studenti sia esacerbata, che quelli in difficoltà non vengano ben visti e messi ai margini, ecc. Praticamente, è un liceo classico!
Lungi da me voler minimizzare il disagio di una persona, anzi, vi invito a leggere il suo post perché ci sono anche degli spunti interessanti ma davvero, non c’è assolutamente nulla che possa minacciare le fondamenta e/o il progetto formativo di una Scuola che comunque non promette (e non può promettere) niente di pratico. Per esempio, sempre nel post di sfogo si dice che il programma didattico non è trasparente ma fluido, in base ai docenti, e che non ci siano i voti. Ma è ovvio, è una scuola creativa! Poi, perché una persona che si professa “diversa” dovrebbe aspettarsi un programma scolastico canonico? Ci sono davvero tante ingenuità.
Ma veniamo all’annosa questione, quella su cui TUTTI si sono concentrati: costa troppo? Certamente. A me non verrebbe mai in mente di spendere così tanti soldi – 20.000 euro per due anni – per farmi insegnare qualcosa di così difficile da insegnare e per cui non ci sono risultati certi. La Holden credo sappia benissimo che insegna saperi superflui in un’èra di marginalità della letteratura. È per questo che costa tantissimo, è un lusso.
Stiamo parlando di una scuola di scrittura che si è dovuta riconvertire in scuola di storytelling, perché quella di “scrittore” è una professione invendibile! In Italia legge il 40 per cento risicato della popolazione (e soprattutto gialli). Forse la Holden può vantarsi di sfornare scrittori, ma la vera sfida qui è partorire dei lettori che le leggano queste fantomatiche storie, altrimenti nemmeno 100.000 euro basterebbero a farti diventare alcunché.
Non è mica solo colpa della filiera creativa e della sua presunta qualità, se il mondo è cambiato e molti lavori “tradizionalmente” artistici e creativi sono stati svalutati. Infatti, la Holden è diventata la scuola degli sceneggiatori, dei copywriter, e così via. Mestieri che, sinceramente, si possono imparare in mille altri modi diversi. Per esempio, lavorando.
Ma qui si apre un altro vaso di Pandora: il lavoro. La verità, diciamocela, è che il risentimento di questi studenti – sia verso la Holden sia verso tante università private – nasce dal fatto che, siccome paghi tanto, allora pretendi di “comprarti” il lavoro dei tuoi sogni. O quanto meno, questi leggendari “contatti”. Tutti noi abbiamo avuto, prima o poi, quella conversazione con i nostri genitori: “Non è che paghi il corso di studi (che è normalissimo e nemmeno troppo diverso da tutti gli altri) ma è lo stage che fa la differenza, è per dopo, paghi per avere tanti contatti…”.
Io ho 33 anni, vi giuro che questa storia dei contatti è grandemente sopravvalutata. Forse vale solo se sei raccomandato. Altrimenti, consiglio di concentrarsi sulla sostanza di ciò che si fa. Poi basta dare “le paghette” sotto forma di rette scolastiche per entrare nei settori creativi, e finire invece a lamentarsi che non ci si è entrati. Non è un’ingiustizia aver pagato e non essere entrati lo stesso, ma il fatto che non ci sia una modalità di accesso democratica!
Questa storia della Holden, comunque, ha dell’incredibile. Perché nonostante la totale inconsistenza delle accuse rivolte – pensateci: se ci fosse stato scritto Bocconi sarebbe stato la stessa identica cosa! – incredibilmente, la Scuola di Storytelling, che dovrebbe insegnare a comunicare e a raccontare in maniera convincente una storia, ha deciso di controbattere, incorrendo in una gaffe colossale, degna di un boomer avvezzo da poco all’uso dei social media.
Ripetiamolo: l’ex studentessa si era solo limitata a dire, perdonatemi la sintesi, che la Holden se la tira: sono antipatici, snob e mandano avanti corsi sovrapprezzati con un ritorno dell’investimento minimo. E che, quindi, non è molto utile. Insomma, bella scoperta.
A quel punto la Holden pubblica un video surreale sui suoi canali social – poi eliminato dopo un giorno o poco più – che li fa finire immediatamente al centro di una shitstorm. Nel reel – girato il 6 giugno, il giorno della cerimonia di consegna dei diplomi – vengono intervistati i genitori di alcuni studenti. Tutte le risposte gravitano attorno alla questione dei soldi, con i genitori che rispondono all’agghiacciante domanda: “Spesi bene questi 20k?”.
In generale, il video è di una miseria nera, tra riferimenti continui al connubio sesso-denaro e le affermazioni classiste, sembra di assistere a un monologo interiore di Leo Merumeci.
La Holden ha negato che il video fosse una risposta diretta alle polemiche sollevate dopo il post dell’ex studentessa, anche perché, appunto, era stato girato molto prima. Ma è ancora peggio! Significa che questo è lo standard comunicativo. Poi che fosse stato filmato per altri scopi non significa che il montaggio e la pubblicazione ad hoc nei giorni immediatamente successivi al dibattito online non fossero stati orchestrati apposta per generare un controcanto alle lamentele rivolte loro. Se è vero che sono soliti fare post ironici, è altrettanto vero che questo video denota una mancanza di stile preoccupante per qualcuno che vuole insegnare agli altri come si lavora con le emozioni umane.
Ne esce fuori un quadro mortificante: questa scuola la frequentano solo i figli di papà? Era questo che si voleva sottolineare? Tra l’altro, dalle risposte fumose dei genitori, sembra quasi che loro non abbiano la minima idea di cosa abbiano pagato. Altro che storytelling. Qua siamo al punto che non sai spiegare il tuo corso di laurea ai tuoi genitori (vabbè, pure io ho sempre detto a mio nonno che facevo la giornalista, per brevità…).
Credo che, se ci sia una morale da trarre da tutta questa storia, è quanto sia profondamente sbagliato perpetuare la narrazione del “se pago, pretendo” perché, se ci sono persone che meritano più di te, anche se non hanno sborsato un euro, dovrebbero avere la precedenza. In un mondo sano.
Da smontare, però, è anche la credenza che ci sia un solo modo per lavorare nei settori creativi. Non solo non è vero, ma è anche molto preoccupante per la filiera stessa. Significa che si andrebbero a creare ambienti – e l’abbiamo visto nel video della Holden che, anche per questo, si è rivelato un boomerang comunicativo – pericolosamente omogenei, formati da persone delle stesse classi sociali, o comunque con mentalità simili, che, verosimilmente, come fatto notare dalla ex-studentessa, scrivono e insegnano anche nello stesso modo. Si tratta di isole elitarie e poco meritocratiche. Così sembra almeno dalla comunicazione emersa in questi giorni. Non è così? Meno male, altrimenti sarebbe una tragedia.
I “forni” in cui si prepara la cultura non possono cuocere prodotti preconfezionati, fatti con lo stampino. Questo si rifletterebbe sulla letteratura e su qualsiasi altro settore culturale che diventerebbe paludoso, stantio e tutt’altro che creativo. Infatti, è uscito un articolo di Paolo Di Paolo sulle trasformazioni della letteratura italiana (non concordo moltissimo, ma è vero che c’è un ripiegamento sull’autofiction abbastanza esteso e pervasivo).
Allo stesso modo, però, un’altra lezione da imparare, e mi metto al primo banco, è quella di smetterla di muoverci in blocco solo quando c’è da indignarsi per la cultura in pericolo… È fuor di dubbio: il talento non si compra, ma le tecniche di storytelling si possono acquisire in mille modi, tra cui anche frequentare la scuola Holden, checché si creda.
La cultura la mettiamo in pericolo, invece, se non facciamo nulla di culturale nei 365 giorni dell’anno, non finanziamo nessun progetto intellettuale che abbia un’anima e continuiamo ad annegare nell’intrattenimento vuoto, appiattito. Non se spendiamo i nostri soldi nei corsi di scrittura.
Perdiamo più tempo nelle pagliacciate, o a indignarci per le pagliacciate, che a pensare all’Arte. Perché gli algoritmi dei social ci premiano così, ci danno un bel croccantino se ci arrabbiamo. E diventiamo tutti schiavi di questo sistema. Vi ho raccontato questa storia per cui sicuramente vi sarete arrabbiati, o con me o con il Sistema. E proprio per questo voglio dirvi: non disperdiamo energie nella rabbia a vuoto che alimenta questa ruota.
Se Tolstoj fosse un uomo di cultura nel panorama contemporaneo, diventerebbe un coglione. Lo spiega bene Edoardo Ferrario. Siamo messi così.
Sul tema consiglio molto un saggio: Turisti della realtà di Francesco Marino.
Editoria e dintorni
Tornando alle cose belle, ho incontrato Matteo Colombo, il traduttore delle nuove edizioni degli “altri” Salinger, usciti recentemente per Einaudi. Trovate la nostra conversazione su YouTube.
Allerta: vi verrà una voglia matta di leggere tutto ciò che ha scritto J. D. Salinger.
Voglia di un distopico originale? Blackie Edizioni ha portato per la prima volta nelle librerie italiane un cult del 1995.
Il 24 settembre arriva anche in Italia “Rifiuto” di Tony Tulathimutte per E/O . L’idea è quella di raccontare un mondo ormai eternamente online in cui gli schermi fanno da specchio e arrivano a condizionare tutte le emozioni e le relazioni che abbiamo. Ne avevo già presa una copia in lingua originale, autografata, a New York a giugno. Promette bene.
L’ultima moda dell’editoria, sono le copertine che raffigurano quadri di gente piena, esaurita, rasa. Ne ha parlato il New York Times.
Dopo la piaga degli spray edges, sono arrivate anche le pagine in 3D. Forse dobbiamo andare tutti quanti in vacanza.
Dua Lipa ha intervistato Guadalupe Nettel sul libro La figlia unica. Si parla di genitorialità e anche della decisione di non fare figli. È da tempo che vorrei leggere questa scrittrice messicana, edita da La Nuova Frontiera che ha tante proposte interessanti sulla letteratura sudamericana che, come sapete, non è il mio forte ma mi sto lentamente avvicinando. Recentemente, ho letto anche Valeria Luiselli, con Storia dei miei denti: surreale, folle, onirico.
Sette dei libri migliori dell’anno, secondo BBC. C’è anche quello nuovo di Chimamanda Ngozie Adichie, edito da Einaudi recentemente. Ma io sono incerta, voi l’avete letto?
Miscellanea
Un appuntamento speciale per festeggiare i tre anni del gruppo di lettura “I Mattoni” a Milano, sabato (domani) sera alle 19:00 da Stazione Radio. Dopo una discussione sull’importanza della lettura condivisa, ci sarà tempo per un gioco letterario con dei premi in palio e – ovviamente – delle birrette! Ci si prenota qui.
Il 4 e il 5 ottobre torniamo in Valle d’Aosta per un nuovo ritiro di lettura. Vuoi sapere com’è? Qui il resoconto dell’ultimo, fatto in Toscana lo scorso weekend.
Ancora fino a oggi ci sono le offerte per i Prime Days su Amazon. Qui c’è una lista affiliata con solo cose utili e comode per la casa, per i video e per i viaggi. Niente extra.
Vuoi fare il pieno di audiolibri per l’estate? Vale sempre la promozione su 30 giorni di ascolto gratuito (anziché 14) su Storytel.
Vi saluto con un memino, pensando a tutte le promozioni estive che proveremo a scansare.
Buone letture!
Se hai dei suggerimenti su tematiche da affrontare, libri, meme e/o dritte di ogni tipo, scrivimi pure sui miei account social. Se vuoi informazioni sull’abbonamento scrivi a: info@nredizioni.it
Della cultura (mal) fatta in questo modo e dell’indignazione a comando siamo pieni rasi come le persone sulle copertine citate dal NYT 😄 grazie Ilenia per averlo raccontato in maniera così cristallina, questo sì, è storytelling 👏😊