L’età dell’innocenza di Edith Wharton – Mattoni Americani 2/6
L’analisi del classico senza tempo scritto dalla prima donna a vincere il Premio Pulitzer
Il guaio di compiere il proprio dovere
consiste nello scoprirsi inadatti a fare diversamente
Per capire la portata universale dell’aforisma di Edith Wharton – una delle rappresentanti più note della letteratura americana – dobbiamo immergerci in un mondo antico, per tanti aspetti primitivo, quel periodo brevissimo tra fine Ottocento e inizio Novecento che ha fatto da spartiacque a due epoche, ma che ancora oggi è capace non solo di parlarci, ma di rivelarci i tanti spaventosi, e insieme bizzarri, aspetti di quell’animale sociale che è l’essere umano.
È incredibile come le riflessioni di Wharton sulla moda, sul bieco conformismo e sulla resistenza al cambiamento siano valide ancora oggi, nel tempo dei social media, dell’ubiquità della rete e dell’intelligenza artificiale.
Come ha fatto lo sguardo di Wharton ad arrivare tanto lontano? Lo scopriamo attraverso l’analisi del suo capolavoro, L’età dell’innocenza.
Per agevolare la navigazione, ho creato l’indice dell’approfondimento:
1.0 Keeping up with Edith Wharton – La vita di una donna dai tanti primati
2.0 La Vecchia New York – Il contesto storico e sociale di Wharton
3.0 Una pioniera o una snob? – L’eredità dell’autrice
4.0 Storia e Romanzo, Individuo e Società: una nuova formula narrativa per un mondo che cambia
4.1 Un classico che rifiuta giudizi semplicistici
5.0 Tribalismo sociale e silenzi disciplinanti: la New York di Newland Archer
6.0 Espellere la diversità: Ellen Olenska e il modello di donna moderna
6.1 Amore o fantasia? Il rapporto tra Ellen e Newland
6.2 La libertà individuale: tra dovere e desiderio
7.0 Due modelli di donna contrapposti: la trappola della morale femminile
7.1 Narrazione inaffidabile e contronarrazione ironica: la purezza fittizia di May
7.2 L’arbitrarietà morale de L’età dell’innocenza
8.0 L’Epilogo
💬 Ti ricordo che sul romanzo puoi recuperare qui anche la live di discussione fatta con Francesca.
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🎧 Se preferisci ascoltarlo come podcast, invece, puoi scaricarlo qui.
1.0 Keeping up with Edith Wharton, una donna dai tanti primati
Conosciuta per i suoi molti primati, come quello di essere stata la prima donna a vincere il Premio Pulitzer e a ricevere una laurea ad honorem a Yale o a raggiungere il Monte Athos, Edith Wharton – nata Jones, nel 1862 a New York – rappresenta per molti versi il ritratto della donna moderna ed emancipata. I pregiudizi dell’epoca non le impedirono di condurre una vita anticonformista: viaggiò senza sosta in lungo e in largo dagli Stati Uniti all’Europa (si stima che attraversò l’Oceano circa sessanta volte), a inizio Novecento acquistò e guidò un’automobile, decise di divorziare dal marito fedifrago e coltivò relazioni al di fuori delle convenzioni, circondandosi di artisti e intellettuali cosmopoliti.
Ma forse la scelta più scandalosa fu proprio quella di diventare una scrittrice di professione, non come mero svago, come orpello per la sua vanità, ma come vero e proprio mestiere, capace di renderla indipendente dal marito e favolosamente ricca, tanto da potersi comprare una sontuosa dimora di campagna in Massachusetts, ma anche di usare quel denaro per opere filantropiche, soprattutto durante la Prima guerra mondiale quando, al contrario di molti americani espatriati che ritornarono negli Stati Uniti, decise di rimanere in Francia – dove risiedeva da qualche anno – per prestare soccorso ai soldati e alla popolazione civile, dando rifugio e cure a centinaia di bambini malati o rimasti orfani e organizzando comitati e laboratori per le tantissime donne rimaste disoccupate o in pessime condizioni economiche, a causa del conflitto1.
Edith Wharton inizia a scrivere a 14 anni e lo fa di nascosto, contro il parere della madre che la alleva per essere “venduta” sul mercato matrimoniale della buona società newyorkese, anche cercando di distoglierla e di scoraggiarla dalla lettura e dalla scrittura, passatempi pericolosi per le signorine. Infatti, anche se le informazioni sono fumose, si mormora che il primo fidanzamento di Edith con il giovane Henry Stevens fosse finito proprio a causa delle ambizioni personali della scrittrice. Edith scrive a letto, prima di alzarsi, in silenzio e in solitudine, ritagliandosi uno spazio domestico tutto per sé, un’abitudine che conserverà per tutta la vita. All’inizio lo fa su della wrapping paper, carta da regalo, proprio per tenere celata questa attività proibita. Successivamente scriverà a mano su dei fogli bianchi che lasciava cadere sul pavimento per poi farli ricopiare da qualcun altro. Un metodo piuttosto altezzoso. Ma nel tipico stile Wharton.
Sì, perché il suo ruolo pioneristico nella cultura americana è anche il frutto del privilegio: proviene da una famiglia del ceppo della Old New York, i Jones (si dice anche che il motto della famiglia fosse appunto “keeping up with the Joneses”, un modo di dire in inglese per indicare qualcuno che figura come punto di riferimento e standard per lo stile e lo status sociale). Se il pedigree impeccabile non le regala una ricchezza solidissima – inferiore alle apparenze, comunque – le dà il prestigio necessario per vivere in un universo protetto, forse fin troppo, tanto che le sembra di vivere in una gabbia dorata.
E dorata è anche l’epoca storica in cui Edith cresce: la Gilded Age, un periodo molto circoscritto che va dal 1870 al 1901. Il termine deriva dal romanzo satirico L’età dell’oro di Mark Twain, che descrive un’epoca di gravi problemi sociali celati da una sottile patina dorata di lusso e sfarzi. Infatti, da un lato, si tratta di un periodo di rapida crescita economica e di espansione nell’industrializzazione e conseguentemente di grandi cambiamenti. Dall’altro lato, fu anche un’epoca di povertà e disuguaglianza, poiché milioni di immigrati – provenienti da paesi europei impoveriti – si riversarono negli Stati Uniti in massa, aggiungendo contraddizioni e tensioni al quadro sociale.
La stessa New York recepì nel suo humus – e visibilmente nel suo skyline – queste trasformazioni. Un’altissima (e controversa) concentrazione di ricchezza in città portò a nuove costruzioni, iniziarono a svettare opere monumentali (hotel, grandi magazzini, ma anche chiassosi mausolei e templi egizi), realizzati dai nuovi capitali provenienti da famiglie come i Vanderbilt, i Macy, i Woolworth, che delinearono anche una fisionomia prima sconosciuta e un ordine sociale differente. A seguito della Guerra Civile, infatti, la società americana venne colonizzata da nuovi business ed enormi fortune incontrollate: è l’era dei tycoon, dei magnati della finanza, arricchitisi grazie ad attività all’epoca poco regolamentate come la Borsa, ma anche da commerci legittimi come le ferrovie, i grandi centri commerciali, le catene di alberghi. Pian piano questi clan iniziarono a soppiantare – o meglio, a contaminare – l’élite della vecchia aristocrazia newyorkese, a cui Edith Wharton apparteneva e che si fece cantrice di questa evoluzione.
2.0 La Vecchia New York
La Old New York era un ambiente ermetico, una società signorile, statica, con un lignaggio europeo, che dominava la città già da generazioni e che viveva quasi esclusivamente di rendita, ovvero senza lavorare (proprio come i lord inglesi), grazie ai patrimoni immobiliari e alla terra posseduta. In altre parole, si trattava di un mondo precapitalistico, avulso dal mercato liberale e dal commercio, che veniva considerato un’attività sospetta e volgare. La ricchezza si conservava – al massimo aumentava o diminuiva con lievissime oscillazioni – attraverso le alleanze matrimoniali stipulate tra clan appartenenti allo stesso universo ristretto, soggetto a leggi polverose.