Bisogna iniziare da qui: Paul Auster (1947-2024), gigante della letteratura statunitense, non c’è più. Non ci tenteranno più nuovi romanzi pubblicati a suo nome in libreria, ma fortunatamente abbiamo un’eredità letteraria sconfinata a cui attingere.
Non è sempre facile gestire la morte dei personaggi noti, con ruoli più o meno pubblici nell’èra dei social media. Non lo è per una serie di ragioni. Prima di tutto, condividere qualsiasi tipo di notizia, foto o testo può risultare inopportuno perché purtroppo – data la pervasività mediatica e la velocità con cui si diffondono le informazioni – non sapremo mai se la privacy della famiglia sia stata rispettata fino in fondo e/o se sia stato dato un consenso esplicito, sia nel divulgare la notizia nei tempi giusti (se conosceste quella persona, preferireste venire a sapere della sua morte da un giornale?) sia nel livello di dettaglio dell’informazione pubblicata (non dovremmo essere noi a decidere quanto sia troppo o troppo poco, quanto sia morboso o meno). Il post che ha pubblicato Siri Hustvedt, scrittrice e compagna di vita di Auster, è emblematico. Giustamente le prime righe sono di profondo dispiacere e indignazione perché le è stato impedito di gestire a suo modo e nei suoi tempi la comunicazione della morte del marito.
L’istantaneità dei mezzi di comunicazione oggi non permette più il cordoglio, non permette di riflettere se prima dell’obbligo di informare ci sia l’obbligo di fermarsi per rispettare il lutto.
Un’altra ragione di imbarazzo nell’esporci sulla questione, poi, è più intima e subdola. Si verifica anche quando a morire sono conoscenti che non abbiamo forse il diritto di chiamare “amici”. Quando la morte ci tocca in maniera indiretta, cosa abbiamo noi da dire, da elaborare pubblicamente, da condividere? Il rischio non è forse quello di mettersi in mostra e rendere quel dispiacere esibito come qualcosa che riguarda più noi che l’omaggio alla persona scomparsa? Eppure questo è un dilemma ben noto dei social media: qualsiasi gesto – persino il più altruista – può risultare narcisista e solipsistico. Solo noi possiamo decidere qual è il confine, qual è il momento giusto di dire qualcosa, nelle modalità che più riteniamo rispettose.
Da parte mia, ho scelto questa newsletter per fare un piccolo tributo a uno dei miei scrittori preferiti. Non mi conosceva e non mi conoscerà mai, la sua morte non ha fermato la mia vita, né ha sconquassato il mio tempo e il ritmo delle mie giornate. Tuttavia, anche se non sono nella posizione di poter dire addio al Paul Auster uomo – trascorso quello che io ritengo un ragionevole lasso di tempo per dare spazio in primis alle persone che l’hanno amato – vorrei avere il privilegio di dire addio al Paul Auster scrittore, che tanto ha fatto per me con le sue parole. Eppure, non è un vero addio. Questo è il bello della letteratura: consegnare la propria vita alle pagine dei libri, consacrare il proprio vissuto alla scrittura permette di continuare a esistere. L’eredità di Paul Auster – e la sua sostanza, per chi crede in qualcosa che va al di là della carne – sarà sempre accessibile e si dischiuderà a chiunque voglia leggerlo, per sempre.
Non penso di poter esprimere pienamente cosa la letteratura di Paul Auster abbia fatto al mio cuore. Farò un breve elenco – arte in cui era maestro indiscusso – di tutto ciò che mi ha regalato:
in Diario d’inverno e Nel paese delle ultime cose mi ha dato una lezione sulla memoria: ricordare significa accumulare, granello per granello, non istanti ma dettagli, precisi e tondi. Bisogna appuntare tutto per far rivivere continuamente i luoghi che abbiamo abitato, specialmente le case. Le case sono i gusci dentro cui ci siamo modellati. Quando saremo vecchi non ci commuoveranno i ricordi vaghi ma rivedere il poster che tenevamo appeso sulla testiera del letto, la ciotola in cui mangiavamo i cereali, la bici con cui ci siamo spaccati i denti, il gradino cieco della scala di legno della cantina;
ne L’invenzione della solitudine mi ha consegnato le parole per capire come ricordare mio padre, partendo dagli oggetti più insignificanti, quelli che passano di mano in mano, conservando sempre l’impronta (più spesso l’odore) dei padroni originari. Perché le cose in Paul Auster hanno un potere, la materia che ci circonda emana un’energia che lui ha descritto come se stesse scrivendo sempre un racconto di fantasmi;
in Trilogia di New York mi ha mostrato quanto sia facile (e bellissimo) perdersi e in 4321 (qui la mia recensione) quanto sia difficile trovarsi e diventare se stessi, con un grosso rischio di lacerarsi, fino a sdoppiarsi e moltiplicarsi;
nel libro che ho amato di meno (ma forse di più) mi ha insegnato come si fa a volare. Mr Vertigo, poi, per qualche circostanza bislacca – che Auster, grande poeta del caso, avrebbe molto apprezzato – mi è stato regalato dall’amore della mia vita;
e infine in Baumgartner mi ha insegnato ciò che non si può insegnare: dire addio. Dentro c’è tutta la sua narrativa che ci consegna con la consapevolezza che un altro libro non ci sarebbe stato. 145 pagine di elegia, un commiato per una letteratura che nessuno scrive più e che comunque nessuno scriverà più come lui. C’è tutto: i telefoni che suonano e ti cambiano la vita come nella Trilogia di New York (qui la recensione), ovviamente la City di vetro e le sue strade, c’è il New Jersey, il baseball, quell’amore fulminante che dura una vita e ti scava dei canyon dentro. C’è tutta la vita di Paul Auster che si nasconde tra i dettagli di finzione. La vita che prende un senso solo quando la scrivi nelle lettere, nei libri, nei fogli volanti. I suoi intrecci sono sempre storie nelle storie. È un lungo sguardo, indugiante, compassionevole a quello che è stato. Perché c’è stato. E tutto quello che è stato è importante. La letteratura salva le minuzie, che minuzie non sono.
Ciao, Paul.
Per un ritratto e dei tributi migliori di questo sgangheratissimo omaggio, vi lascio una serie di approfondimenti:
Paul Auster, gli arabeschi del caso e le ambigue certezze di Paolo Simonetti
E per non farne apologia, godetevi anche questa feroce analisi del critico letterario James Wood, pubblicata nel 2009 (tutti i difetti che indica esistono davvero – come la mancanza di ironia e il ricorso a un certo romanticismo – ma sono proprio gli elementi che adoro).
È scomparsa, all’età di 92 anni, anche Alice Munro (1931-2024), scrittrice canadese, premio Nobel per la letteratura nel 2013, malata da tempo. Conosciuta soprattutto per i racconti, consiglio di leggere Chi ti credi di essere, un finto (e anomalo) romanzo di formazione, in realtà un’antologia di dieci short story che raccontano il lento modellarsi dell’identità di una donna attraverso gli anni.
Editoria e dintorni
Il mondo comunque è andato avanti e per la precisione è andato al Salone del Libro di Torino. Tutti tranne me. Io non ci sono andata. È difficile non farsi prendere dalla FOMO che mi ha portato a decidere sin da ora che l’anno prossimo prenoterò per tempo – a gennaio – un appartamento a Torino da occupare per tutti e cinque i giorni della Fiera. Attendo che, come per gli anni precedenti, vengano ricaricati sul loro canale YouTube – facciamogli pressione, dai – almeno gli incontri con gli autori più importanti (qualcuno ha detto Salman Rushdie?!?), a beneficio di chi non ha potuto assistervi.
È successo anche altro nel mondo letterario (online e offline):
Cristina Rivera Garza ha vinto il Premio Pulitzer 2024 per l’Autobiografia con il memoir sul femminicidio della sorella, avvenuto nel 1990, intitolato L’invincibile estate di Liliana, pubblicato da SUR, specializzata in letteratura sudamericana. L’autrice sperimenta con il racconto lirico e polifonico della personalità di Liliana, mescolandolo molto saggiamente con l’archivio personale della sorella, composto da lettere, diari, fotografie e disegni. Un testo profondamente politico e insieme intimo, davvero notevole.
Invece per la fiction – sbaglio o quest’anno un po’ in sordina? – il Pulitzer è stato assegnato a Jayne Anne Phillips con Night Watch, un romanzo ambientato durante la Guerra Civile Americana, che segue le vicende di una giovane ragazza della Virginia e del padre, arruolato tra le fila dell’Unione. Attualmente disponibile solo in lingua inglese. Parere sincero (e poco tecnico): a me sembra un polpettone. Inoltre, per me non è un buon segno il fatto che non sia stato così promosso in giro prima della vittoria. Pregiudizio? Probabile. Qui un omaggio all’autrice per bilanciare il mio scetticismo.
Non so se interessa a qualcuno (pare di no) ma nessuno legge e compra più i libri e l’industria editoriale mondiale si basa su un modello economico totalmente folle. Non sappiamo più come dirlo ma un’alternativa di mercato non sembra nemmeno immaginabile, figuriamoci percorribile. Proseguiamo con la ricerca del bestseller a tutti i costi. Letteralmente, a qualsiasi costo (per l’ambiente, le persone che lavorano ecc.).
Qui Vincenzo Latronico tenta di dare una spiegazione al fatto che:
1) tra i finalisti del premio Strega gran parte dei titoli appartiene al genere storico (e io oserei dire con una preoccupante quanto barbosissima fissazione per il periodo fascista e del Secondo Dopoguerra);
2) perché i romanzieri non stanno dietro ai cambiamenti tecnologici del nostro tempo e quindi si rifugiano in epoche passate;
3) la differenza tra romanzo invecchiato male e romanzo storico.Sono stata a Chiasso Letteraria (bello tutto, mi hanno fatto anche delle foto che riciclerò per sempre, dappertutto) e ho intervistato Rachel Yoder, autrice di Nightbitch, da cui uscirà a fine anno un film con Amy Adams. Trovate l’intervista qui (tradotta in italiano da Romana Manzoni Agliati): parliamo di maternità, femminismo, scrittura, capelli bianchi e Donald Trump.
Ritorna La Milanesiana, ciclo di eventi con scrittori da tutto il mondo. come il premio Nobel Jon Fosse, Eshkol Nevo e Adania Shibli (a proposito, la scrittrice palestinese parla qui dell’erosione delle voci letterarie del suo paese, attraversato dalla guerra da decenni). Nonostante il nome, non si tiene solo a Milano, ma in ben 26 città (anche all’estero). Qui il programma. Io andrò a vedere la poetessa Anne Carson. La buona notizia è che gli eventi si potranno seguire anche in streaming, appuntatevi quelli che vi interessano.
La New York Times Book Review ha capito che le liste tirano tantissimo e ne hanno pubblicata un’altra – completamente arbitraria, ma c’è bisogno di dirlo? – sui Best Books since 2000. Per prendere appunti nel caso abbiate bisogno di nuovi bisogni di lettura. A proposito 👇
È uscito un bel volume Einaudi che raccoglie molti scritti di Goliarda Sapienza (di cui, il 10 maggio, è ricorso il centesimo anno dalla nascita), autrice catanese speciale, di cui ci siamo ricordati troppo tardi. A proposito di scrittrici novecentesche, qui un bell’omaggio alla collaborazione tra Ginzburg e Morante.
Questo weekend a Milano, ci sarà LINO, un piccolo festival letterario (un festivalino, appunto) che si tiene ogni anno nel quartiere di NoLo. Non si tratta di presentazioni ma di dibattiti con molte scrittrici e scrittori italiani. Io forse faccio un salto per sentire Durastanti, Raimo e Latronico che intervengono qui, in una delle librerie più accoglienti della città. Segnalo anche l’incontro sulla traduzione di zio Dosto.
Che si legge?
Sul canale siamo ritornati alla solita programmazione, questa settimana è uscito un video di un’oretta – lo so, sono impietosa – sulla caterva di libri letti in queste settimane: da Missitalia di Durastanti (stupendo) fino a McGlue di Ottessa Moshfegh (di gran lunga meno stupendo).
Dopo l’ascolto horror dell’audiolibro di Tutto è meraviglia di Ann Napolitano – paragonato a L’amica geniale da qualche povero folle, dato che siamo di fronte a una soap opera senza alcun fondamento psicologico – sto proseguendo con l’incantevole lettura di Ritratto di Signora di Henry James, terza tappa dei #MattoniAmericani che abbiamo inaugurato a maggio. A questo proposito, sono aperte le iscrizioni per l’incontro di discussione alla libreria Hoepli di Milano, venerdì 24 maggio alle 17:45. Scrivete a press@hoepli.it per riservare il vostro posto. Se siete tra i founding member della newsletter, fatelo presente perché avete diritto alla fast track.
Proseguono gli appuntamenti dal vivo perché ci vediamo anche il 23 maggio nella libreria Mondadori di Piazza Duomo a Milano, dalle 15:00 alle 16:00 per i Kobo Colour Days, in occasione del lancio dei suoi nuovi modelli a colori. Esploreremo insieme le varie funzioni dell’e-reader e faremo quattro chiacchiere. Con me ci saranno anche Megi Bula (@labibliotecadidaphne) e Ilenia Caito. Se fate un salto, scrivetemi in DM su Instagram.
Vi saluto allietandovi con una carrellata di one-star review di Orgoglio e pregiudizio e altri classici. So che non sono così originali, ma ho un umorismo molto semplice.
Buone letture!
Se hai dei suggerimenti su tematiche da affrontare, libri, meme e/o dritte di ogni tipo, scrivimi pure sui miei account social. Se vuoi informazioni sull’abbonamento scrivi a: info@nredizioni.it
La potenza della letteratura di dire con parole che neanche noi sapevamo di avere ciò di cui avevamo bisogno è sempre magia, grazie per questo tributo ad Auster così personale, rende forse di più di un’analisi che cerca di essere solo oggettiva. Mi ritrovo in ciò che hai detto di “invenzione della solitudine”, un padre ce l’ho ancora ma così enigmatico da aver bisogno di Auster per capirlo di più. Ora sto leggendo “il quaderno proibito” e sta facendo la stessa cosa, trovando parole che non sapevo di aver bisogno di leggere.
Paul Auster é un autore che mi ispira da tempo eppure non ho letto nulla di suo tranne Baumgartner, che ho amato molto. Avevo già messo in programma di leggere 4321 quest’estate, il tuo omaggio mi ha convinta che non posso proprio privarmi dei libri di questo scrittore.