Perché tener traccia di vite sconosciute? Conversazione con Elizabeth Strout
In dialogo al Festivaletteratura di Mantova con una delle autrici internazionali più lette e stimate del mondo, e vincitrice di un premio Pulitzer
Come raccontare storie di gente comune senza risultare banali? A colpire della letteratura di Elizabeth Strout è proprio questa sua capacità di mettere a fuoco le tragedie ovattate delle persone normali, con le loro vite “dimenticabili” e i loro dolori trascurati.
E lo fa attraverso racconti brevi (ma collegati tra loro come romanzi), eredi del minimalismo di Hemingway, che sembra aver scritto non con una penna ma con un rompighiaccio. La scrittrice, infatti, ha il talento – non comune – di andare oltre tutti i nostri pregiudizi e la superficie usurata degli stereotipi per arrivare all’essenziale.
Ho avuto la fortuna di poterla intervistare e di poterle chiedere di più sul suo processo creativo, sulle sue protagoniste più conosciute – Olive Kitteridge e Lucy Barton, che si incontrano proprio nel suo ultimo libro Raccontami tutto, uscito recentemente per Einaudi – e soprattutto sulle sue tecniche di scrittura.
Trovi qui l’intervista in formato video oppure sotto la trascrizione della nostra conversazione.
Ilenia
Una cosa che mi ha colpito è che, nelle tue storie, ascoltare gli altri è una delle cose più importanti che si possano fare, un gesto molto significativo, un atto d’amore, un gesto d’aiuto. Inoltre, nel tuo ultimo libro, (Raccontami tutto), hai introdotto questo concetto molto intelligente ovvero l’idea di “mangiare i peccati” degli altri, ascoltando le loro storie. La capacità di assorbire i problemi e il dolore altrui, e al contempo anche alleggerirli, in un certo senso. Quindi vorrei chiederti se pensi che leggere e, naturalmente, anche scrivere, siano dei modi per “mangiare i peccati” degli altri.
Elizabeth
Be’, questa è una domanda davvero interessante. Penso di sì, che scrivere significhi mangiare i peccati degli altri ma anche digerirli, poi. Credo di “mangiare le colpe delle persone”, ma poi sono anche in grado di lasciarle andare. Forse perché ne scrivo. Mentre, per esempio, il povero Bob (Burgess, un personaggio ricorrente nei libri di Strout) non riesce a lasciare andare le storie degli altri e diventa sempre più pesante…
Ilenia
Un’altra cosa che amo molto dei tuoi libri è che appartengono a un universo condiviso. Hai sempre pensato di creare personaggi ricorrenti o ti è venuto naturale, mentre scrivevi?
Elizabeth
È buffo perché io, in realtà, non ho mai pensato di creare personaggi ricorrenti nei romanzi. Ma è successo. Per esempio, con Amy e Isabelle (il primo romanzo), all’improvviso, ho realizzato: “Aspetta un attimo. Isabelle vive nella stessa area geografica, sarà amica di qualcuno degli altri”. Ogni libro che scrivo è un libro autonomo e, una volta finito, è finito. Ma poi, per qualche ragione, non so perché… suppongo che i personaggi non abbandonino mai la mia testa, penso: “Oh”. E poi, con Raccontami tutto mi è venuto in mente che vivono tutti nella stessa zona. Guarda un po’. E all’improvviso ho realizzato che Lucy ora vive nella stessa città di Olive. Ho pensato che sarebbe stato divertente farle incontrare.
Ilenia
Oh sì, è curioso perché Olive e Lucy hanno due personalità opposte. Da lettrice, è stato davvero interessante vederle interagire tra loro e anche vedere il loro amore condiviso per le storie. Non per i pettegolezzi, ma per le storie.
Elizabeth
Storie su persone reali. Che nemmeno sanno che le loro storie significhino qualcosa, ma sono importanti perché la storia di tutti ha un significato. All’inizio ho fatto raccontare a Olive la storia di sua madre e poi ho pensato: “Olive è interessata alle persone. Anche se è molto diversa da Lucy. E Lucy, ovviamente, è sempre interessata alle persone perché è una scrittrice”. E poi ho capito che avrebbero avuto questo in comune. Si sarebbero incontrate e si sarebbero scambiate storie sulle persone.
Ilenia
Sì, è un’idea toccante, il fatto di tener conto delle “vite non registrate”. Questo è un altro concetto in Raccontami tutto. Perché è così importante raccontare storie che nessuno conosce sulle persone?
Elizabeth
Perché non teniamo traccia della maggior parte delle nostre vite, eppure sono così importanti per noi perché le stiamo vivendo. Ogni volta che incrocio qualcuno per strada penso subito: “Com’è la tua vita? Com’è stare nella tua testa?”. Tutti noi abbiamo una vita interiore che si scontra con il mondo esterno e questa discrasia è interessante. Tutti viviamo le nostre vite “segrete” a cui teniamo molto naturalmente. E la maggior parte di esse rimane non registrata.
Ilenia
Lavoro sui social media, e so che i social non sono uno degli argomenti principali delle tue narrazioni, ma su queste piattaforme, secondo me, le persone sentono il bisogno di essere viste. Anche se accade piuttosto il contrario, perché sui social c’è un costante giudizio e una costante esposizione che sono l’opposto dell’essere veramente visti. Nei tuoi libri sottolinei spesso la differenza tra guardare qualcuno e vederlo davvero.
Elizabeth
Olive e Lucy cercano di trovare nelle storie delle vite altrui ciò che percepiscono come la cosa più vicina possibile alla verità. Mentre qualcuno come Pam che, sai, è l’ex moglie di Bob… Io le voglio bene, ma sto solo dicendo che lei probabilmente è più attenta alle apparenze e a cercare di farsi strada nella vita, in termini di quale sia il giusto modo di apparire agli altri piuttosto che ascoltare veramente.
Ilenia
I tuoi libri sono piuttosto impressionistici. La trama non è importante perché strutturi i tuoi libri come se fossero scene singole in sequenza, come dipinti singoli. Quindi riusciamo a scorgere solo un’istantanea della vita di un personaggio, nient’altro, e a un certo punto scrivi anche che la vita è solo un’ipotesi dopo l’altra, e vorrei chiederti quanto è importante il dubbio nella tua scrittura?
Elizabeth
Il dubbio è molto importante perché, prima di tutto, ne siamo tutti colmi. Penso che la maggior parte di noi abbia le proprie certezze e incertezze e, come scrittrice, devo lottare con i miei dubbi e rendermi conto: okay, questo è ciò di cui il lettore ha bisogno e niente di più. Quindi, è un costante giocare su “cosa vuole il lettore e cosa posso dargli?”. È come danzarci.
Ilenia
Un argomento ricorrente è lo snobismo e lo adoro perché tutti sono snob, nessuno sfugge. Tutti hanno un senso di superiorità verso qualcun altro. Anche quando, invece, non sappiamo nulla sulle altre persone. Perché ti occupi di snobismo nei tuoi libri?
Elizabeth
Quando inizio a lavorare sulla pagina, sospendo ogni giudizio sui miei personaggi e l’ho sempre trovato molto liberatorio. Fanno semplicemente quello che fanno e io non li giudico. Li sto solo registrando. E questa è una delle ragioni per cui amo scrivere, perché posso non giudicare. E poi ho iniziato a rendermi lentamente conto che nella vita reale noi giudichiamo. Credo che un po’ dobbiamo farlo per forza per andare avanti, ma le persone possono davvero diventare molto critiche ed è doloroso se sei tu quello che viene giudicato. Non so perché, ma sembra far parte della condizione umana il fatto che cerchiamo sempre qualcuno a cui sentirci superiori. È molto triste e, in definitiva, pericoloso.
Ilenia
È vero, come dice spesso Lucy Barton, che per uno scrittore c’è una sola una storia? Perché sembra che tu abbia molte storie da raccontare.
Elizabeth
Sì, in effetti è così. L’ho scritto perché pensavo che fosse quello che Lucy avesse imparato da un insegnante, ma da allora ci ho pensato e credo di avere più di una storia da raccontare. Credo di sì.
Ilenia
Questa forse è una domanda da “nerd”, ma tu scrivi sia in terza che in prima persona. Quali sono le principali sfide tra queste scelte?
Elizabeth
In genere mi trovo più a mio agio con un narratore in terza persona. Puoi coprire di più. Puoi entrare e uscire dalla testa delle persone. Puoi attivare una serie di azioni diverse con un narratore in terza persona e un narratore in prima persona (come Lucy Barton). In quel caso, con Lucy ho scelto la prima persona perché Lucy è arrivata così nella mia testa, con la sua voce. Dovevo quindi raccontarla in prima persona perché lei è la sua voce. All’inizio mi rendeva molto nervosa, avevo sempre paura che qualcuno potesse pensare che sono io, ma alla fine li ho lasciati credere a ciò che vogliono.
Ilenia
La gente pensa che tu sia Lucy Barton? Te lo chiedono?
Elizabeth
Ogni tanto, ma non mi importa più tanto.
Ilenia
Chissà perché le persone sono così concentrate sul cercare di distinguere tra ciò che è finzione e ciò che è invece reale. Qual è il punto? Alla fine non importa perché la finzione è pur sempre “vera”, una verità ma mascherata.
Elizabeth
Esattamente. E sai, sento di aver scritto Lucy Barton perché quando sono cresciuta c’erano due famiglie in città diverse che erano molto, molto povere. Uno dei ragazzi di questa famiglia era seduto davanti a me in terza elementare. Non proferiva mai parola. Un giorno, l’insegnante gli si avvicinò e gli disse: “Hai della sporcizia dietro le orecchie. Nessuno è mai troppo povero per comprare una saponetta”. Non dimenticherò mai il suo viso diventare tutto rosso dalla vergogna. Non dimenticherò mai quel momento. Nella mia mente, quando ho creato Lucy Barton, l’ho fatto perché volevo dare una voce a quelle famiglie.
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