Siamo tutti vittime dei nostri autoinganni. Una conversazione con Nathan Hill
Una delle voci più importanti della narrativa americana racconta i suoi romanzi e la sua vita da scrittore in occasione del Festivaletteratura di Mantova
Al Festivaletteratura di Mantova – qui il vlog dell’esperienza – ho avuto l’opportunità di intervistare una delle voci più importanti della narrativa americana di oggi: Nathan Hill, autore in libreria per Rizzoli con due romanzoni, Il Nix e Wellness.
L’intervista, che potete fruire in video o qui sotto traslitterata se volete un po’ più di contesto e non avete tanto tempo da dedicare al video, copre i temi centrali della sua opera: l’influenza delle storie sulla nostra percezione della realtà, soprattutto in un’èra di disinformazione e sovraccarico di informazioni.
L’ossessione per la ricerca di un “sé autentico” e la difficoltà di accettare il cambiamento, sia a livello personale che di relazione. L’autore riflette anche sulla natura performativa del “benessere” moderno, soprattutto alla luce degli avanzamenti tecnologici nell’industria della salute e, al contempo, dell’ansia alimentata dai social media e il ruolo della letteratura nel promuovere il pensiero critico e la comprensione.
Non mancano gli aneddoti personali su uno scrittore che ha vissuto a New York tra gioie e dolori, diverse riflessioni sulla situazione politica e la cultura americana.
P.S.: la sala in cui abbiamo registrato era piena di crocifissi e madonne addolorate, ho cercato di tagliarle dall’inquadratura ma è stato divertente ricevere quel tipo di benedizione mentre parlottavamo sui pericoli delle credenze fideistiche e dell’irrazionalismo.
È stata una chiacchierata splendida, grazie a tutte le persone che hanno reso possibili questi incontri. Solo grazie al vostro supporto è possibile raccontare libri e autori con questo livello di dettaglio e approfondimento.
Per tutte le persone che hanno deciso di investire in questo progetto, chi dall’inizio o chi da solo qualche ora.
Ilenia
Wellness, il tuo ultimo romanzo, parla dell’effetto placebo. Infatti, a un certo punto scrivi: “una storia può essere potente come una medicina”. In questo contesto in cui le persone non credono più in niente, non credono più nella scienza ma solo nel loro istinto, qual è l'importanza di raccontare la giusta storia, le vere storie?
Nathan Hill
La sensazione che avevo mentre scrivevo questo libro è che il nostro mondo è fatto delle storie che ci raccontiamo su di esso. Il nostro mondo è definito dal tipo di storie in cui crediamo. E quindi è importante capire quali storie stanno entrando nel tuo cervello, così come è vitale capire che cibi e che farmaci stanno entrando nel tuo corpo.
Ho scritto questo romanzo in un momento in cui abbiamo assistito a un’esplosione di storie false, durante la pandemia. Sapevamo di non poterci fidare di ciò che si leggeva online. Non eravamo certi che le persone stessero dicendo la verità, c’era molta disinformazione e misinformazione.
Mi ha colpito il fatto che alcuni amici vivessero in un universo completamente diverso dal mio solo perché credevamo in storie diverse. E così ho iniziato a pensare: “Perché non scrivere un romanzo sulle storie in cui crediamo?”. A me piace mettere un’idea al centro di un romanzo per poi frammentarla e guardarla da punti di vista diversi. E il placebo è stato uno di questi. È la definizione esatta del credere a qualcosa di falso, ma che ha conseguenze nel mondo reale; in questo caso, conseguenze fisiche sul tuo corpo. Mi è subito sembrata una buona angolazione da cui raccontare una storia più grande.
Ilenia
Viviamo in un ecosistema mediatico dove abbiamo accesso a un oceano di informazioni e dati. Ma, come è ovvio leggendo i tuoi libri, ciò non implica avere accesso anche al loro significato. Forse è per questo che ogni personaggio del tuo romanzo cerca una storia in cui credere e che, piano piano, finisce per diventare tutta la sua realtà. Sembra che tu voglia rivelare questo meccanismo di autopersuasione e autoillusione, meccanismo a cui ricorre anche il personaggio più razionale in Wellness, Elizabeth. Quindi nessuno è al sicuro, tutti sono vittime dell’autoinganno. Secondo te, la letteratura può essere un antidoto a questo tipo di frammentazione della realtà?
Nathan Hill
Be’, sarebbe piuttosto egoistico da parte mia dire di sì, perché l’ho scritto io il romanzo. Ma sì, credo nella letteratura come meccanismo per interrogarsi. Non so se rivelerà una qualche profonda verità interiore, ma ci mostra un modo diverso in cui puoi pensare a te stesso e pensare agli altri, oltre il livello superficiale della prima impressione e dei nostri istinti. I personaggi del romanzo stanno vivendo forme diverse di illusione. Jack è vittima di misinformazione. Crede a quei “fitness bro” online che gli danno solo cattivi consigli. Suo padre è vittima di disinformazione, crede a teorie cospirative su internet. Ma anche Elizabeth è vittima di quella che potremmo chiamare “sovraccarico informativo”, ha così tante evidenze che non sa bene cosa farsene. Sono problemi che tutti affrontiamo: abbiamo in tasca una marea di informazioni, vere o meno, e parte della condizione moderna è sviluppare uno spirito critico.
Spero che la letteratura aiuti il nostro cervello a rallentare abbastanza da diventare critici sulle storie in cui ci imbattiamo. È così facile su internet vedere qualcosa e giudicarla in cinque secondi: metterla nella scatola del “buono” o del “cattivo”. Penso che la letteratura, invece, ci insegni a guardare più in profondità, prima di esprimere quei giudizi.
Ilenia
I tuoi protagonisti, sia ne Il Nix che in Wellness, soffrono di ansia o di panico. Anche se nei tempi moderni siamo liberi da minacce fisiche, siamo comunque sopraffatti da insicurezze e overthinking. Per esempio, Jack e Samuel hanno questa costante urgenza di mettere in mostra la versione migliore di se stessi perché sentono il giudizio degli altri. Si sentono inadeguati e insicuri. Hai scelto questi temi anche perché, guardandoti intorno, ti sembravano più urgenti, più diffusi che in passato?
Nathan Hill
Sì, con Samuel, con il mio primo libro, è stata più una scelta personale, perché in quel periodo dicevo a tutti che sarei diventato uno scrittore, ho studiato per diventarlo ma per anni non lo sono stato. Ho attraversato tanti anni con quel senso di fallimento addosso che mi ha portato a creare il personaggio di Samuel, anche lui uno scrittore mancato. E ci ho riversato molta della mia ansia. Invece in Wellness è stato un po’ diverso, volevo davvero sottolineare la natura performativa delle nostre vite, la rappresentazione che gli altri danno delle loro vite meravigliose su Facebook, Instagram o TikTok, in cui si vedono solo gli highlights, i momenti migliori.
Inoltre, volevo inserire anche quella sensazione strisciante che provi quando credi che stai vivendo nel modo sbagliato, quel senso di inadeguatezza causato da tutte le notizie allarmiste sul “corretto” stile di vita da seguire: non mangi abbastanza proteine o non fai abbastanza passi ogni giorno, non dormi nel modo giusto, ti fai troppe docce e così via.
C’è sempre questa strana credenza che tu sia solo a un suggerimento o due di distanza dal vivere una vita migliore, che sia tutto così semplice, se solo ti impegnassi di più. Credo che sia un modo di fare molto americano, la spinta a vivere una vita perfetta, e che causi moltissima ansia. Perché, in verità, tutti sbagliamo continuamente e io voglio che i miei personaggi celebrino questa forma di vulnerabilità, ma per farlo devono prima passare attraverso il calvario della storia. E questo è Wellness, in poche parole.
Ilenia
In Wellness descrivi le difficoltà di una coppia di lunga data che vive in un mondo in rapida evoluzione, dove anche le relazioni sono diventate più fluide. Jack ed Elizabeth fanno davvero fatica ad accettare che la loro storia d’amore non sia più la stessa, che sono cambiati. Tu colleghi brillantemente la storia del loro matrimonio alla storia della loro città, Chicago, e dei suoi quartieri. Perché ovviamente anche l’ambiente in cui viviamo si evolve. Perché noi esseri umani facciamo tanta fatica ad accettare i cambiamenti? Dai tuoi libri emerge anche una sorta di ossessione nel voler trovare il proprio vero sé, il sé autentico. Ma esiste davvero o siamo solo in un flusso costante?
Nathan Hill
Penso che siamo in un flusso costante. E nel mio primo romanzo, verso la fine, Fay, uno dei personaggi principali, si rende conto che la ricerca del tuo unico sé oscura il fatto che, in realtà, puoi avere tanti “veri sé”. E, a volte, uno può nascondere tutti gli altri. Ed è quello che succede anche a Jack ed Elizabeth. Volevo dar loro una storia d’amore molto potente. Romeo e Giulietta. Ma se Romeo e Giulietta non fossero morti alla fine? E se si fossero trasferiti a Mantova e avessero messo su famiglia e, improvvisamente, scoprissero che Romeo è un cattivo padre? Che Giulietta non ama il suo lavoro? Loro direbbero: “siamo Romeo e Giulietta. Cosa c’è che non va?”.
A volte, devi superare la tua storia d’origine o la nostalgia o qualsiasi altra cosa che ti leghi al tuo passato, per aprire gli occhi su quanto il mondo sia cambiato, su come tu sia cambiato. Quindi sì, è per questo che ho ambientato la storia in un particolare quartiere di Chicago che ha subìto un processo di gentrificazione negli ultimi vent’anni, perché, proprio come un quartiere, sento che una persona o una coppia cambia a poco a poco nel tempo, e se non sei in qualche modo presente, se non ne sei consapevole, improvvisamente tutto può sembrarti diverso e distante.
Ilenia
Hai scritto: “Le cose che ami di più un giorno ti feriranno più duramente”. E ancora: “In norvegese, gift significa matrimonio, ma anche veleno”. Ti consideri una persona romantica?
Nathan Hill
Dopo queste frasi, probabilmente sembrerà di no. Ma, in realtà, lo sono. Semplicemente non credo nell’ideale romantico dei film Disney, nel “vissero tutti felici e contenti”. Credo che le persone debbano essere consapevoli di quanto siamo tutti imperfetti e parte dell’amore è imparare ad amare le imperfezioni degli altri. Io ne ho molte e mia moglie me le ha perdonate. Non sono un romantico nel senso canonico ma, in un certo senso, lo sono perché credo nell’amore e nel matrimonio.
Ilenia
Il senso di colpa è uno dei principali driver per Samuel e altri personaggi nelle tue opere. In particolare, ne Il Nix, c’è questa creatura mutaforma della mitologia norvegese che perseguita le persone, come un fantasma. È una metafora del senso di colpa? E sono curiosa di sapere che forma prenderebbe il Nix se venisse a perseguitare te.
Nathan Hill
Oh, wow. Quel libro è uscito dieci anni fa. E penso sia la prima volta che qualcuno mi fa questa domanda. Allora, penso di sì. Penso che il Nix abbia a che fare con il senso di colpa o con la vergogna o il rimpianto o qualsiasi forza che ci trascina nel passato. Penso che, come ha detto una volta un famoso psichiatra, tutto ciò che cerchiamo di nascondere e di relegare nel passato finisce per controllarci.
Per quanto riguarda la forma che prenderebbe il Nix se venisse a cercarmi…be’, sarebbe probabilmente una qualche idea proveniente dall’infanzia. E per infanzia intendo fino all’adolescenza e ai vent’anni, quell’idea su chi pensavo di dover essere. Pensavo davvero che avrei dovuto vivere a New York, fare la vita eccitante di uno scrittore, andare alle feste e conoscere tutte le persone famose. Ma ogni volta che mi sono avvicinato a quel tipo di vita, ho solo pensato che non fosse esattamente quello che avrei voluto. Adesso, infatti, vivo in una città molto tranquilla e sonnolenta vicino alla spiaggia, in un posto dove non ci sono scrittori e… penso mi si addica di più.
Fare i conti con chi pensavi di voler essere e poi accettare chi sei realmente, è tutto qui, il progetto di crescere. Quindi il Nix per me sarebbe probabilmente il me stesso di vent’anni che mi guarda e dice: “Cosa diavolo è andato storto?”.
Ilenia
È divertente perché una delle mie frasi preferite di tutti i tempi è: “Stai attento a ciò che desideri”. E anch’io alla domanda in cosa si trasformerebbe il Nix avrei risposto lo stesso: una versione più di successo di me stessa che in qualche modo ho finito per tradire per diventare qualcun altro. È un sentimento comune.
La politica gioca un ruolo importante nelle tue opere. E oggigiorno, purtroppo, quando parliamo di politica, spesso parliamo di rabbia e fanatismo. Questi sentimenti, naturalmente, sono amplificati dai social media e dal sistema di notizie. In Wellness tutto ciò è interconnesso: tutte le storie che definiscono la nostra realtà, come gli algoritmi rafforzano quelle credenze fino al punto di diventare la nostra religione. A quanto pare, c’è una forte connessione tra il crescente sentimento di sfiducia, la fede e il capitalismo, specialmente il capitalismo digitale. Come hai gestito tutto questo materiale nei tuoi libri?
Nathan Hill
Ecco perché mi ci vuole così tanto tempo per scriverli. In inglese c’è una bella parola che descrive tutto questo ed è “parasociale”. Abbiamo queste relazioni parasociali con le informazioni, con le figure politiche, con le questioni politiche. Siamo bombardati da così tante informazioni tutto il tempo, finiamo per sviluppare una strana relazione mentale con le notizie che riguardano persone che non conosciamo come il Presidente degli Stati Uniti, per esempio.
E così volevo provare a portare quella sensazione nei libri, ecco perché Wellness ha richiesto così tanta ricerca e cito all’interno del libro così tanti concetti e idee di molti altri autori e ricercatori. Volevo sottolineare quanto “assorbiamo” dalle informazioni che abbiamo intorno a noi. Ho cercato di drammatizzare quella sensazione di come adottiamo determinate storie, certezze e credenze e di come alcune di esse siano un po’ nostre e altre indotte. È questo condizionamento che ho cercato di raccontare.
Ilenia
I lettori italiani potrebbero non sapere che la prima bozza de Il Nix è andata perduta perché il tuo laptop è stato rubato a New York, costringendoti a ricominciare da capo. Innanzitutto, come sei riuscito a mantenere la calma e, in secondo luogo, puoi dirci se ci sono differenze significative tra la versione originale e il romanzo che hai dovuto riscrivere? Immagino tu non conoscessi a memoria l’intera bozza.
Nathan Hill
No, infatti, non la conoscevo. Ed è cambiata radicalmente. La storia è irriconoscibile, perché una delle cose che ho fatto quando ho cercato di affrontare quella perdita è stato seguire il consiglio di un amico, che all’epoca viveva a San Francisco (io vivevo a New York), e che mi suggerì di iniziare a giocare a un videogioco online che non conoscevo e in cui avremmo potuto chattare. Era molto preoccupato per me perché sapeva che ero depresso dopo aver perso il manoscritto. E così ho iniziato a giocare insieme a lui, finché non ne diventai ossessionato. A un certo punto il mio amico smise di giocare, invece io ho continuato.
Giocare mi ha aiutato, per un po’, a negare la mia tristezza che riversavo in questo mondo irreale. E quest’esperienza è poi diventata la base per una storyline de Il Nix, che parla di quanto Samuel, il protagonista, sia ossessivamente immerso in questo videogioco. Poi incontra un altro giocatore di nome Pwnage che è ancora più dipendente di lui. E Pwnage in qualche modo rappresenta il punto finale, il simbolo di dove quella vita avrebbe potuto portarlo, se avesse continuato così. Comunque sì, il romanzo è cambiato radicalmente perché ho raccolto tutte quelle esperienze e le ho inserite lì dentro.
Ilenia
In questo modo, secondo me, l’hai reso ancora più rilevante. Anche se è uscito dieci anni fa, il romanzo conserva ancora tanti spunti. Per esempio, penso che il mondo dei videogiochi ora sia in qualche modo molto simile alla dipendenza dai social media. Quindi, quella sensazione di evitare la vita reale per vivere in questo mondo fantastico, è ancora piuttosto importante.
Nathan Hill
La gente dice che faccio satira, ma la satira mi lascia freddo perché sento che i satiristi si limitano a prendere in giro le persone, invece io ho molta empatia per i miei personaggi. La dipendenza dai videogiochi è facile da attaccare, ma allo stesso tempo, andando più a fondo, è facile capire chi pensa: “nella mia vita non ho mai vinto in niente, ma in questo gioco posso sentirmi un eroe”. Tutti vogliono sentirsi importanti nella loro vita.
Ilenia
Jack ed Elizabeth hanno quarant’anni e navigano tra le assurdità della vita moderna, inclusa l’ossessione per la tecnologia, per la salute e le sfide della genitorialità. Mentre provano a essere dei bravi genitori, però, ironicamente non riescono a smettere di pensare ai loro genitori e a come li hanno delusi o, al contrario, a come i loro genitori hanno deluso loro. C’è un legame tra il fatto che come società abbiamo questa specie di ossessione per la giovinezza e la riluttanza a maturare? Sembra che i millennial, in particolare, non riescano a invecchiare o ad apparire vecchi, ma allo stesso tempo non riescono nemmeno a maturare. Quindi, siamo bloccati in un’eterna adolescenza?
Nathan Hill
Internet potrebbe esserlo. Non penso che Jack ed Elizabeth vogliano indulgere nella loro adolescenza… c’è una specie di mito americano secondo cui, puoi andare via di casa e diventare chiunque tu voglia essere, puoi reinventarti, ed è una parte molto importante della nostra identità. Ma c’è un lato oscuro: se dimentichi da dove vieni, se lo neghi, allora la persona in cui pensi di esserti reinventato può essere una copia falsa. È come Il Grande Gatsby, sai.
Ed è a questo che mi riferisco con Jack ed Elizabeth, cioè che sono andati a Chicago per diventare orfani e ora stanno cercando di essere genitori senza affrontare le cose che sono successe loro quando erano bambini. Ma, come ho detto prima, le cose che cerchi di negare finiscono per controllarti. Quindi penso che per me si tratti meno di un’ossessione per l’adolescenza e molto di più dei pezzi di noi stessi che mettiamo da parte e che poi tornano inaspettatamente più tardi.
Ilenia
Sì, c’è una frase di Philip Roth in Pastorale americana che dice che non si può ricominciare. Tutto questo mito del ricominciare, è impossibile perché il nostro passato ci condiziona, naturalmente.
Nathan Hill
Sì, è vero. Probabilmente l’ha detto meglio di me.
Ilenia
Il concetto di “benessere” (wellness) è fondamentale nel libro, ma è anche affrontato con un approccio a volte satirico, a volte drammatico. Quindi, mi chiedo cosa significa “benessere” per te.
Nathan Hill
Quando ero piccolo, non usavamo quella parola, si chiamava semplicemente “salute”. Significava andare dal medico una volta all’anno per il controllo e assicurarsi che tutto fosse a posto. Oggi il benessere si è evoluto come se fosse un lavoro. Si tratta di evitare le tossine e fare esercizio, creare forti connessioni nella tua comunità, mindfulness e yoga, alzarsi ogni mezz’ora per assicurarsi di non stare troppo seduti ecc.
Stranamente il “benessere” è diventato piuttosto stressante ed è quasi come se avessimo bisogno di prodotti per il benessere per alleviare lo stress che l’imperativo del benessere crea in primo luogo. Quindi, non ci credo affatto. La maggior parte della ricerca scientifica è d’accordo su cose essenziali: “muovi il tuo corpo e non mangiare un mucchio di schifezze”. Questo è il meglio che puoi fare. Tutto il resto è una questione di fortuna.
Tuttavia, capisco questo desiderio di controllo e di certezza. Credo che la gente pensi: “Be’, sai, non so cosa riserva il futuro, ma se faccio la dieta chetogenica, forse starò bene”.
Inoltre, c’è questo profondo bisogno psicologico di sentirsi bene in un mondo dove non tutti stanno bene. E il mondo del benessere sa essere seducente, con tutte quelle persone attraenti che vogliono venderti prodotti su Instagram, è molto facile caderci, ma io cerco di essere razionale.
Ilenia
Qual è stato il processo di ricerca per Wellness? Perché leggendo di Elizabeth, immagino ti sia concentrato sulla psicologia comportamentale. Pensi che ciò che hai imparato ti sarà utile per altri romanzi in futuro? Sì, è un modo poco sottile per chiederti se stai lavorando a qualcosa di nuovo in questo momento.
Nathan Hill
Il processo di ricerca è stato molto organico. Quando trovavo uno studio che mi interessava, lo leggevo e poi guardavo le note a piè di pagina per vedere quali altri ricerche citava. È stato un processo molto disordinato, simile a una ragnatela che si estendeva da punti di interesse ad altri. Fortunatamente, però, stavo solo scrivendo un romanzo. Non stavo scrivendo una tesi di dottorato. Non avevo, quindi, alcuna responsabilità di essere esaustivo. Potevo semplicemente leggere ciò che mi affascinava davvero. Ed è così che ho fatto. E sì, alla fine, mi sono sentito come se fossi davvero entrato nella testa di Elizabeth, perché anche lei avrebbe letto tutte queste cose.
Per quanto riguarda quanto sarà efficace o utile per i futuri romanzi, non lo so, non credo. Onestamente, tutta quella ricerca è ora in una scatola nel mio armadio. Sto lavorando a un nuovo romanzo, ma è completamente diverso. Ha dei temi nuovi, quindi sto iniziando un nuovo progetto di ricerca daccapo, ma è ancora presto per parlarne.
Ilenia
Be’, non vediamo l'ora.
A breve arriverà anche l’intervista fatta a Elizabeth Strout, registrata sempre nel weekend del Festival.
Nel frattempo, se non avete potuto partecipare, non temete! Potete trovare in streaming gli eventi di Mantova sul loro canale YouTube. Quello di Strout è particolarmente bello ed è un ottimo antipasto alla nostra intervista.
Se hai dei suggerimenti su tematiche da affrontare, libri, meme e/o dritte di ogni tipo, scrivimi pure sui miei account social. Se vuoi informazioni sull’abbonamento scrivi a: info@nredizioni.it
Che bella chiacchierata!! Lui veramente carinissimo
Che bella intervista, così dettagliata e curata🩷 avevo i suoi libri già in lista e sicuramente li leggerò 💘