“Una duplicità senza soluzione”: il rapporto tra Elsa Morante e Elena Ferrante – Mattoni Italiani Extra
Analisi di una fertile corrispondenza letteraria
Cosa unisce a filo doppio Elena Ferrante e Elsa Morante? È una di quelle corrispondenze che crea la letteratura: quella che si stabilisce tra classici e contemporanei, tra modelli letterari d’elezione e artisti che scelgono di omaggiarli. Ma è anche una vicinanza che nasce dall’abitare entrambe – non per scelta, piuttosto per indole – in maniera liminale la società pubblica e il mondo letterario.
Due scrittrici refrattarie all’assimilazione, coscienti e orgogliose di utilizzare “i fondali bassi”, come direbbe Ferrante, del racconto popolare, lontane dalle avanguardie stilistiche e dalle sperimentazioni del loro tempo; due autrici che in maniera diversa hanno assunto comportamenti elusivi nei confronti della mondanità, addirittura scegliendo l’anonimato nel caso di Ferrante. Ma è anche Elsa Morante, che in Pro o contro la bomba atomica, scriveva: “lo scrittore è il contrario del letterato perché gli sta a cuore tutto quanto accade, fuorché la letteratura”. In questo modo sottolineava quanto il suo narrare avesse tutt’altre pulsioni, lontane dal pavoneggiamento estetico di chi aspira a ingraziarsi la critica.
Nonostante quest’apparente ombrosità, entrambe furono in grado di conquistare il pubblico, diventando le narratrici popolari di riferimento del loro tempo. È superfluo citare il successo globale e trasversale della saga de L’amica geniale, tanto da coniare l’espressione “Ferrante Fever” che ne evidenzia le capacità di contagio. Ma anche La Storia, all’epoca della sua uscita nel 1974, si impose come “uno dei casi editoriali più discussi di sempre”, con oltre 600 mila copie vendute nei primi cinque mesi.
Analizzando le caratteristiche delle loro opere, non stupisce la capacità di sedurre un così vasto pubblico, grazie all’utilizzo di espedienti eterogenei provenienti dal melodramma, dal romanzo di formazione e familiare, dallo sceneggiato (napoletano) e, in generale, dal mondo della serialità (dal romanzo d’appendice fino al serial televisivo), addirittura dal thriller (si veda, per esempio, il colpo di scena che chiude il primo volume della saga ferrantiana). A questi generi, si affiancano, anche i riferimenti all’epos e al racconto mitico e leggendario, con accenni al favolistico, in particolare nel caso di Morante.
Un altro elemento di vicinanza tra Ferrante e Morante si rintraccia nell’affidare la narrazione a soggettività subdole e inaffidabili, onniscienti soltanto perché lo scorrere del tempo ha dato loro un amaro “senno del poi”. Ne sono degli esempi sia Elsa in Menzogna e sortilegio (che in prima persona ricostruisce le sorti della sua famiglia maledetta), sia Lenù (che si sforza di ricomporre il punto di vista frammentato dell’amica Lila, la cui esistenza si fa speculare alla sua in un gioco di ambiguità e contraddizioni insanabili).
È attraverso queste soggettività che il grande racconto sociale – in entrambe ci si confronta con temi di portata storica – si intreccia al racconto intimo, tanto da far accostare le loro opere a dei viaggi danteschi nell’inconscio, in cui il tempo diventa circolare, non solo per l’incessante e complessa indagine dell’origine (il rapporto con i genitori e il materno, in primis) ma anche per il tessuto simbolico mitico evocato da entrambe le scrittrici.
Ma è proprio nel ricorso al Mito che forse risiede la differenza più grande tra le due: mentre Elsa Morante ha una concezione antistorica ed eterna dei sentimenti e della natura umani, Elena Ferrante è un’autrice profondamente femminista che si serve del Mito per liberare la soggettività e attuare un cambiamento profondo nella realtà storica, spezzando il cerchio che intrappola le sue protagoniste. Lo scrive meglio di me Isabella Pinto in Elena Ferrante: poetiche e politiche della soggettività: “quello di Ferrante è un lavoro di destrutturazione del mito. Le mitologie diventano lo spunto di un ripensamento critico”.
Analizziamo ora più nel dettaglio come l’opera delle due scrittrici s’interseca in direttrici tematiche comuni e, al contempo, si discosta negli esiti poetici e stilistici.
Nel nome di Elsa – L’eredità della scrittrice romana
Che Elsa Morante sia un punto di riferimento imprescindibile per Elena Ferrante lo si capisce già dalla scelta dello pseudonimo, la cui assonanza con il nome della scrittrice romana è talmente ovvia da risultare un omaggio palese (ribadito, ancora, nell’attribuzione del nome di Elsa anche alla seconda figlia di Lenù nella saga de L’amica geniale).
Sarà la stessa Ferrante nel saggio La frantumaglia a designare Morante come suo “modello ammaliante”. E ancora: “Il romanzo per me fondamentale è Menzogna e sortilegio (...) È il libro grazie al quale ho scoperto che una storia tutta femminile – tutta di desideri e idee e sentimenti di donna – poteva essere avvincente e, insieme, avere una grande dignità letteraria”.