Moby Dick o La Balena: un tentativo di analisi – Mattoni Americani 1/6
Significati e interpretazioni del grande capolavoro della letteratura americana
Sì, c’è la morte in questa impresa della caccia, l’indicibilmente fulminea, caotica spedizione di un uomo nell’Eternità. Ma e con questo? Io credo che abbiamo preso un grosso abbaglio in questa faccenda della Vita e della Morte. Credo che ciò che chiamano la mia ombra sulla terra sia la mia sostanza vera (…). Credo che il mio corpo sia soltanto la feccia del mio essere migliore. Di fatto, prenda il mio corpo chi vuole: prendetelo, non sono affatto io. E allora tre evviva a Nantucket, e venga la lancia sfondata, e il corpo sfondato, quando vogliono, poiché, di sfondarmi l’anima, nemmeno Giove è capace.
A scrivere queste parole ardimentose è Herman Melville, uno dei padri della narrativa americana, un giudizio sancito in gran parte dall’aver creato Moby Dick, un libro mastodontico sia per mole che per ambizione. Ancora oggi, dopo secoli dalla sua pubblicazione, è considerato un’impresa letteraria impareggiabile, così com’è considerata un’impresa leggerlo.
Quali sono i motivi che gli hanno fatto guadagnare questa reputazione? Come arrivò l’autore a comporre un’opera così in anticipo e allo stesso tempo così vicina alla sensibilità della sua epoca?
Per agevolare la navigazione, ho creato l’indice dell’approfondimento:
1.0 Un newyorkese in mare – Vita di Herman Melville
2.0 Un esperimento letterario: le coordinate per rintracciare Moby Dick (dall’ideazione alla scelta dell’industria baleniera come tema)
3.0 Il dualismo strutturale di Moby Dick, tra allegoria e simbolismo
4.0 L’enigma della Balena Bianca
5.0 La cosmologia di Melville tra Mito e Realtà
6.0 Il capitano Achab
7.0 Il finale tragico e il disordine
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1.0 Un newyorkese in mare – Vita di Herman Melville
Herman Melville nasce e muore a New York (1819-1891) in una famiglia molto numerosa – sono in otto tra fratelli e sorelle – e agiata, grazie alla professione remunerativa del padre, un ricco commerciante che accende l’immaginazione del figlio, già in tenera età, con i racconti di viaggi avventurosi in terre lontane. Melville trascorre un’infanzia serena fino al 1830, quando il padre dichiarerà bancarotta e subirà anche un crollo nervoso da cui non si riprenderà mai più, morendo prematuramente. Da quel momento, lo scrittore inseguirà senza sosta la stabilità economica – con poco successo nel corso della sua vita – intraprendendo una sequela di mestieri, fra cui quello di mozzo. Nel momento in cui raggiunge la maggiore età, come Ismaele, prende la via del mare.
Alcuni anni fa – non importa quanti esattamente – avendo pochi o punti denari in tasca e nulla di particolare che mi interessasse a terra, pensai di darmi alla navigazione e vedere la parte acquea del mondo. È un modo che ho io di cacciare la malinconia e di regolare la circolazione. […] Questo è il mio surrogato della pistola e della pallottola. Con un bel gesto filosofico Catone si getta sulla spada: io cheto cheto mi getto in mare.
La vita da marinaio segna anche la sua carriera da scrittore, tanto che le prime prove letterarie come Typee (1846) e la sua continuazione, Omoo (1847), descrivono i suoi viaggi sulle navi baleniere nell’Oceano Pacifico, in particolare in Polinesia. Entrambi i romanzi ebbero un discreto successo commerciale ma Melville non riuscì mai ad affrancarsi del tutto da altre professioni per mantenere la sua famiglia (nel 1847 a Boston sposò Elizabeth Shaw da cui ebbe quattro figli). I suoi lavori successivi – Giacchetta bianca o Mardi – furono accolti più tiepidamente degli esordi, nonostante fossero anch’essi spiccatamente autobiografici e avessero come sfondo i viaggi marinareschi. Ma più che lo spirito avventuroso a emergere in questi scritti era un’impostazione filosofica e letteraria molto ambiziosa, distante dai “semplici” romanzi di viaggi pieni di peripezie e probabilmente dal gusto del pubblico.
Lo stesso Melville inizia a discostarsi dai luoghi comuni del genere marinaresco per cercare un approccio poetico inedito, uno sguardo nuovo, metafisico. Il mare non è solo un’ambientazione, ma diventa una condizione quasi esistenziale. Anche qui, sembra di sentire riecheggiare il narratore di Moby Dick: “il mondo è una nave su cui si compie una traversata e non un viaggio di andata e ritorno”. Si allontana per cui dai resoconti autobiografici per abbracciare sempre di più l’universalità del romanzo, anzi, per approdare a un nuovo tipo di romanzo “totale” che vuole racchiudere in sé tutta la vita.
Questo percorso di maturazione culminò nella pubblicazione del suo capolavoro, Moby Dick, nel 1851. La storia di un equipaggio che, guidato dal suo titanico capitano Achab, va a caccia di una balena bianca, colpevole di averlo mutilato. Qui c’è il tentativo manifesto di creare una vera e propria epica nazionale che rappresentasse gli Stati Uniti, che avevano raggiunto da poco l’indipendenza politica ma ricercavano anche un’indipendenza culturale dall’Europa. E avevano bisogno di simboli propri, di storie originali che raccontassero della loro espansione, del loro incredibile progresso. Lo stesso equipaggio rappresenta in parte la natura composita di una microsocietà e il numero dei marinai a bordo del Pequod era di trenta membri come trenta erano gli stati dell’Unione all’epoca.
Accanto a questo slancio positivista per la conquista di nuove frontiere, tutto americano, in Moby Dick c’è però anche l’amara consapevolezza dei limiti della condizione umana. Come riportato su più fronti – Barron Freeman, tra gli altri – Moby Dick è “la parabola di una lotta eterna”, una condizione universale, oltre gli USA. Al di là di tutte le contestualizzazioni storiche e sociali, ciò che rende immortale il libro di Melville è il suo mettere in scena lo scontro tra l’uomo e il suo ambiente, tra l’essere umano e il suo creatore, tra libertà e giogo. La vera sfida per Achab è quella di dimostrare che l’uomo può coronare una grande impresa, per quanto ostacolato dal destino. Lo scrive già Fernanda Pivano: “Per la sua audacia temeraria (…), il capitano Achab è l’ultima incarnazione letteraria del dissidio romantico”.
Ciò che ho osato, l’ho voluto; e ciò che ho voluto, lo farò! La profezia diceva che sarei stato smembrato e io… sì! Io ho perduto questa gamba. Faccio la profezia, ora, di smembrare chi mi ha smembrato. Siamo, dunque, ora, profeta ed esecutore la stessa persona. Questo vuol dire essere più di quanto voi, grandi dèi, siate stati mai.
Eppure, se Prometeo ruba il fuoco agli dèi, Achab non uccide la balena bianca. Il perché lo scopriremo analizzando il finale e i tanti livelli interpretativi del libro. Per ora ci basterà sottolineare che, forse, proprio la vorace ambizione di raccontare sotto forma di romanzo il dilemma più tragico dell’umanità e di farne anche una fine analisi antropologica e filosofica, non ha ripagato immediatamente gli sforzi di Melville. Per far diventare un libro un classico ci vuole tempo. In alcuni casi, tantissimo tempo. Alla morte dell’autore, Moby Dick, pubblicato trent’anni prima, aveva appena superato le tremila copie vendute.
L’insuccesso clamoroso di Moby Dick – ma in generale il favore e l’interesse decrescenti verso la sua narrativa – lo portarono a pubblicare sempre meno, fino alla quasi completa cessazione dell’attività letteraria nel 1857. Nel frattempo, fu costretto a impegnarsi in altre professioni per garantirsi la sopravvivenza, benché dipendesse economicamente dal suocero, autorevole giudice del Massachusetts che finanziò successivamente anche alcune pubblicazioni minori (come il lungo poema Clarel). Sì, anche Melville si autopubblicava.