L’angoscia dell’influenza: il rapporto tra Henry James e Edith Wharton – Mattoni Americani Extra
Di amicizie letterarie, maestri e discepoli, originalità e plagio
Truman Capote e Harper Lee, Arthur Conan Doyle e Oscar Wilde, Tolkien e Lewis, Fitzgerald e Hemingway, Woolf e Mansfield, Gaskell e Bronte. Sono solo alcune delle amicizie tra scrittori e scrittrici che costellano la storia della letteratura. E che ne hanno cambiato il corso. Per esempio, qualcuno sostiene che senza l’influenza di James Joyce nessuno avrebbe letto i libri di Italo Svevo. Così come senza l’incoraggiamento di tanti mentori – amici e amiche, sorelle e fratelli, partner e così via – molti capolavori non avrebbero visto la luce. Qualcuno ha detto Sof’ja Tolstaja?
Uno scrittore, per quanto indipendente e solitario, è il prodotto di una tessitura, formata da tanti fili, da tanti legami personali e influenze letterarie che lo ancorano al presente e al passato. Talvolta anche al futuro. È celebre il caso di Max Brod che venne meno alla promessa fatta all’amico Kafka di bruciare tutti i suoi scritti dopo la morte, garantendo imperitura fama allo scrittore praghese (per approfondire questa tematica affascinante sull’amicizia tra scrittori, vi rimando qui).
Oggi, però, vorrei soffermarmi su un sodalizio in particolare, quello che unì Edith Wharton e Henry James. Entrambi gli scrittori fanno parte del nostro programma di lettura sui #MattoniAmericani e leggendoli uno di fila all’altro è impossibile non notare le analogie e, allo stesso tempo, è stimolante rintracciarne anche le profonde differenze.
“I cannot think of myself apart from the influence of the two or three greatest friendships of my life, and any account of my own growth must be that of their stimulating and enlightening influence”.
Edith Wharton
Nella sua autobiografia A backward glance, Edith Wharton racconta in maniera molto nitida – sebbene non sempre accurata, se la incrociamo e confrontiamo con altri dati biografici più vicini a James – l’influsso del “Maestro” su di lei e la sua vita, più che sulla sua opera. Purtroppo il legame che lei stessa si impegnò a cucire con James fu anche una sorta di maledizione perché, agli occhi del mondo letterario, la mise all’ombra del grande autore per molto tempo. Come lei stessa constata: “The continued cry that I am an echo of Mr. James (whose books of the last ten years I can’t read, much as I delight in the man)… makes me feel rather hopeless”.
Ma facciamo un passo indietro, come nasce la loro amicizia?
La scrittrice newyorkese all’epoca era una grande ammiratrice del lavoro di James, in particolare di Daisy Miller – romanzo breve che ebbe un successo considerevole, al contrario delle altre opere dell’autore – e di Ritratto di signora. Vedeva in James una sensibilità artistica affine, un modello ma soprattutto un maestro di scrittura, da cui voleva ricevere consigli per migliorarsi ma anche per legittimarsi come autrice emergente. Infatti, mentre James era già in una fase matura della sua carriera, Wharton aveva appena iniziato a scrivere short stories. Avevano ben 19 anni di differenza.
Inoltre, a far desiderare la vicinanza di James, contribuì anche la sua fama e il suo ruolo di acuto critico letterario, di mentore e, in qualche modo, di vero e proprio consigliere che rivestì per la sua fortunata cerchia di letterati e artisti. Viveva di letteratura, amava perfezionarla non soltanto nelle sue opere ma anche incoraggiandola in quella degli altri: si mostrava sempre disponibile e ospitale con gli scrittori più giovani, usando quel suo speciale talento nel “far emergere i sentimenti più intimi nel suo interlocutore”.
Non stupisce quindi l’insistenza di Wharton, ansiosa di lasciare un’impressione su una delle menti più brillanti del suo tempo. Purtroppo l’inizio della loro conoscenza non fu dei più memorabili. Incontrò Henry James due volte alla fine dell’Ottocento, a Parigi e a Venezia, nel 1887 e nel 1890, in occasioni mondane (la cerchia di americani all’estero, di artisti e intellettuali colti era all’epoca molto ristretta) che, però, la delusero. Cercò di attirare l’attenzione dello scrittore attraverso la moda, scegliendo abiti e accessori peculiari, tra cui un cappello estroso (Henry James era noto per i suoi gusti estremamente raffinati in fatto di stile). Ma fu bellamente ignorata da James che, d’altra parte, non rispose a molte lettere inviate da Wharton nel corso del tempo (si vedano gli studi Leon Edel).
Dovette aspettare il 1900 e galeotto fu il libro. In questo caso, un racconto (The Line of Least Resistance, uscito su Lippincott Magazine) che Wharton spedì a James per chiedergli un parere e che finalmente conquistò il favore dell’autore (che, tuttavia, non le risparmiò le critiche).