Una conversazione con Elif Batuman
Cosa significa crescere attraverso le esperienze imbarazzanti, le relazioni complicate con la tecnologia, ma soprattutto con la scrittura e la lettura
In occasione della recente uscita italiana di Aut-Aut – tra i migliori libri del 2023 secondo il New York Times – Elif Batuman è venuta nel nostro Paese per raccontarci come proseguono le vicende di Selin, la studentessa di Harvard protagonista de L’idiota, il romanzo precedente di cui l’ultimo titolo dal sapore kierkegaardiano è il seguito diretto.
Parliamo di romanzi solo per convenzione perché nei libri di
è difficile districarsi tra fiction, autofiction o biografia, memoir o diaristica, racconto umoristico o d’ambientazione universitaria. Si tratta di soggetti ibridi che proprio nella non-definizione trovano la ragione del loro successo. Infatti, pur essendo ambientati negli anni Novanta, abbracciano quelle che sono le tendenze letterarie del momento: protagoniste femminili ancora non pienamente formate, complesse nelle loro contraddizioni e nei loro dubbi, ansiose di diventare qualcosa, indecise sulle loro relazioni che spesso vengono condizionate dalla tecnologia, paralizzate da pensieri intrusivi e travolte da un mondo pieno di messaggi di difficile interpretazione.Non ero riuscita a essere a Roma per Libri Come, il festival in cui Batuman ha dialogato con Francesco Pacifico, ma nemmeno il tempo di disperarsi ed è giunto lesto un invito graditissimo da parte di Einaudi per un altro incontro, questa volta privato, una sorta di tête-à-tête ma con le telecamere, in una cornice d’eccezione: Venezia, dove l’autrice in serata avrebbe avuto un evento per Incroci di civiltà, organizzato dall’Università Ca’Foscari.
L’intervista sarebbe dovuta durare una mezz’oretta, il tempo di un veloce pranzo. E invece ci siamo ritrovate a vagare per ore tra le calli, chiacchierando ovviamente di letteratura russa (per la quale proviamo una comune passione), scrittura, tecnologia e femminismo.
Sono già usciti dei contenuti sui social come il mio reel da fangirl e quello decisamente più serio di Einaudi, ma se vuoi ascoltare l’intervista completa, puoi guardare il video su YouTube (con sottotitoli sia in inglese sia in italiano, a tua scelta).
Se preferisci le forma scritta, qui sotto troverai una trascrizione in italiano della conversazione, modificata per ragioni di lunghezza e chiarezza.
Ilenia
La cosa che colpisce e che invidio molto dei tuoi romanzi è che, nonostante lo scarto temporale che ci divide dalla loro ambientazione negli anni Novanta, dalla lettura sembra quasi che tu abbia un accesso diretto alla te stessa del passato. Come ci sei riuscita? Possiamo considerarlo un lavoro simile a quello degli storici quando indagano sul passato, solo che tu hai attinto dalla tua stessa vita.
Elif Batuman
Fortunatamente ho sempre scritto molto, soprattutto all’età di Selin, quando tenevo anche un diario che ho consultato insieme a tante email e altro materiale del tempo. È stato strano perché la prima stesura de L’idiota risale a quando avevo ventitré anni circa e racconta dei fatti accaduti quando ne avevo diciotto. Mentre scrivevo non pensavo che fosse un romanzo, lo immaginavo più come una realtà aperta, in continua evoluzione. Poi, quando ho ricominciato a lavorarci – a circa trentotto anni – l’ho visto invece per ciò che era diventato: un romanzo storico! Non avevo bisogno di fare niente, il tempo l’aveva reso tale per via anche dell’avanzamento della tecnologia come le email, adesso tutto è cambiato.
Ilenia
Riguardo all’obsolescenza della tecnologia nei romanzi, pensi che sia un limite? Penso a Sally Rooney, che ha ricevuto molte critiche per un uso non perfettamente realistico e “attuale” dello scambio email tra millennial. Tuttavia, a mio parere, la tecnologia è solo un dispositivo della trama. Il punto non è che tipo di strumento utilizzano i personaggi per comunicare bensì ciò che la tecnologia fa alla conversazione, come la trasforma e la complica. Nel tuo caso, viene descritto un sistema tecnologico proprio dell’università che frequenta Selin (Harvard) che non avevo mai sentito nominare e probabilmente ormai non è più in uso nelle comunicazioni tra studenti, ma non significa che narrativamente non riesca lo stesso a descrivere come sia diverso (e difficile) comunicare per Selin e Ivan attraverso la tecnologia piuttosto che di persona. Naturalmente, le frequentazioni amorose oggi sono completamente diverse dal passato, ma di base il problema della comunicazione e la smaterializzazione delle conversazioni generano le stesse conseguenze: insicurezze, ghosting, un divario tra il modo in cui siamo online e offline, le differenze tra l’immagine che vogliamo proiettare e la nostra reale personalità. Le tecnologie hanno cambiato le nostre relazioni. Ma perché c’è spesso una certa reticenza nel mostrare questo cambiamento in letteratura?
Elif Batuman
È una bella domanda. Penso che decidere di diventare uno scrittore dipenda in gran parte dal fatto che ami leggere e in qualche modo sei sempre in conversazione con i libri, quindi è difficile scrivere cose che non hai mai letto prima perché la tecnologia è molto nuova, hai l’impressione che non sia il soggetto giusto e hai paura che non venga capito, quindi preferisci far passare più tempo prima di trasporre certi oggetti in letteratura. Ma penso che sei nel giusto quando dici che è meglio mantenere una mentalità più aperta perché non sai cosa rimarrà e cosa non lo farà. Il miglior modo di farlo è scrivere tutto nel modo in cui lo si percepisce in quel momento, restare fedeli all’impressione.
Ilenia
A proposito di percezione, c’è un momento ne L’idiota quando Selin è al ristorante – penso sia all’estero, forse a Parigi – e chiede qualcosa nel menu, ma non sa esattamente cosa sia. Il cameriere torna portando un melone pieno di porto, pieno di vino. Ricordo di aver pensato che quella fosse l’essenza del libro. Il linguaggio è una trappola, pieno di incomprensioni e contraddizioni. Non c’è corrispondenza tra parole e realtà, come se il linguaggio fosse indipendente dalla realtà. Ma alla fine fa parte del gioco, è frustrante ma è anche emozionante. Perché significa che hai ancora cose da imparare, da esplorare. Ciò che amo di Selin è che lascia che le cose le accadano. È coraggiosa, a modo suo. E questo mi ha fatto pensare: quando smettiamo di essere giovani, quando diventiamo adulti perdiamo quel coraggio, quella naturalezza nell’accettare che le cose siano assurde?
Elif Batuman
La cosa che mi ha attirato di più nello scrivere questi libri è che ho potuto accedere di nuovo a quelle sensazioni di stupore che provi quando sei giovane. Il progetto era proprio quello di recuperare quei sentimenti e vedere se fossero ancora possibili. E penso che lo siano. Penso che molte delle strade senza sbocco che prendiamo siano condizionate dalla società e potremmo rimanere più aperti alle potenzialità della vita per più tempo. E anche se le delusioni sono inevitabili, a un certo punto Selin conserva ancora quella fiducia nel poter andare ovunque, farsi trascinare dagli eventi anche se non sa cosa accadrà. Ora sto scrivendo di un’altra Selin, quando ha trenta e quarant’anni, e noti una differenza. Non si aspetta più che qualcosa di molto sorprendente le accada, diventa un po’ un esercizio cognitivo mantenere quella sorta di apertura, ma penso che sia una delle battaglie per cui valga la pena combattere.
Ilenia
Stavo cercando una descrizione che Selin fa di se stessa (in Aut-Aut) e recita all’incirca così: sono come un flâneur ma nei corridoi, riprendendo anche una canzone di Fiona Apple. Per me riflette perfettamente la natura del personaggio che, nonostante sia una matricola di Harvard, non è la canonica intellettuale che usa l’ironia per distanziarsi dal lettore. Anzi, ci mostra spesso la sua vulnerabilità emotiva.
Elif Batuman
Sì, Selin è anche molto scettica e critica nei confronti dell’autorità. Per diventare una vera intellettuale pensa che debba criticare quello che tutti ritengono fondamentale. Lei pensa: e se quella cosa che tutti pensano sia importante in realtà sia un’idiozia? Infatti, a un certo punto, è anche sconvolta dal fatto che a Harvard le persone credono in quell’idea di futuro condivisa dalla maggioranza delle persone: sposarsi e avere figli. E pensa: com’è possibile? Anche qui?
Ilenia
I libri sono ambientati negli anni Novanta, quindi non c’era quel tipo di vocabolario che oggi siamo abituati ad associare al femminismo, ma si percepisce comunque a tratti un tono diverso, come se Selin narratrice avesse più conoscenza e più consapevolezza della Selin protagonista della storia. Come hai gestito questa doppia coscienza?
Elif Batuman
Dopo aver pubblicato L’idiota, prima di scrivere Aut-Aut, la conversazione sulle molestie stava cambiando e molte donne ritornavano sul loro passato e raccontavano la loro esperienza usando un lessico diverso, che non avevamo allora. In realtà, si tratta di un vocabolario che esiste da moltissimo tempo, certi termini come “cultura dello stupro” venivano usati già negli anni Settanta dalle femministe. Ma forse non ci prestavamo attenzione. È stato solo nel 2017 che ho cominciato a notarlo. E a quel tempo ero anche coinvolta in una relazione con una donna per la prima volta, dopo aver frequentato uomini per tutta la mia vita adulta. Mi stavo esponendo più direttamente al femminismo della seconda ondata e alla queer theory. La verità è che sono cresciuta con un’idea di separazione netta, da Guerra Fredda: nell’Unione Sovietica le persone scrivevano letteratura politicamente impegnata, i comunisti scrivono di politica e io invece ero più interessata all’arte che alla politica. Quindi per me L'idiota è un libro sulla depoliticizzazione, su come Selin scelga l’amore e la letteratura piuttosto che la politica, credendo siano due cose separate da non poter conciliare. Non è perfettamente chiaro, ci sono pochi passaggi dove si può riscontrare. Ecco perché ho deciso di scrivere un seguito (Aut-Aut) in cui volevo esplicitare meglio il discorso. Il femminismo era già presente ma Selin non ci si ritrova, pensa che non la riguardi. Perché quando sei così condizionato dall’ambiente, non pensi di esserlo. Pensi di aver scelto la libertà e di comportarti nel modo più giusto possibile. Quindi volevo ricostruire quel periodo di inconsapevolezza. Ho anche pensato di dividerlo in due parti: una sarebbe stata il romanzo vero e proprio, l’altra parte sarebbe stata dalla prospettiva presente, al tempo in cui stavo scrivendo il libro, quindi nel 2020, e sarebbe stato una sorta di saggio in cui avrei spiegato come i romanzi mi abbiano rovinato la vita, di come i romanzi mi abbiano depoliticizzato e mi abbiano immesso nell’eteronormatività. Ma ho avuto problemi con la forma del saggio, mi sembrava troppo giudicante e moralista. Quindi è diventato più interessante cercare di comunicare lo stesso messaggio attraverso il romanzo. Ci sono diverse parti dove spero che i lettori contemporanei riconoscano e usino le parole che oggi conosciamo e usiamo politicamente, ma che Selin non conosceva ancora.
Ilenia
Anche se non si usano questi termini, direi che tutta la seconda parte di Aut-Aut è per me è il tentativo di Selin di decostruire l’amore romantico eterosessuale o comunque l’idea che l’amore romantico e il sesso siano l’apice della nostra vita. Anche perché nel libro viene descritta la vita sessuale di Selin e decisamente non è il climax della sua vita. Mi viene anche in mente un’altra riflessione. Se L’idiota era un’allusione a Dostoevskij, il titolo Aut-Aut è invece un preciso riferimento a Kierkegaard e alla scelta radicale tra vita estetica e vita etica. Che immagino sia una lente attraverso la quale Selin e Svetlana vedono le loro vite in quel momento, o semplicemente una cornice per descrivere la loro amicizia e le loro differenze. Ma riflette anche il desiderio di Selin di sfuggire al conformismo e alla convenzionalità, di vivere esperienze diverse per scrivere un romanzo. È ossessionata da quest’idea di coerenza, tra le sue influenze letterarie e il suo senso della scrittura, ma alla fine i libri non possono dirti come vivere. La frattura tra letteratura e realtà è un tema antico, quello che invece penso sia nuovo e moderno nel romanzo è il modo in cui emerge questa tensione ovvero attraverso l’imbarazzo. Per me la sensazione di awkwardness si genera quando c’è uno squilibrio tra come dovrebbe andare qualcosa secondo le tue aspettative e come effettivamente va. La parte più significativa del percorso di Selin non è stata vivere esperienze estetiche ma momenti imbarazzanti. Cos’è per te l’imbarazzo, quanto è importante e come lo traduci nei tuoi libri?
Elif Batuman
È buffo perché ho scritto un articolo sull’imbarazzo tempo fa, ma nonostante ciò, credo di non averci mai pensato da questa prospettiva. Per come hai posto la questione mi ricorda un aspetto legato al genere del romanzo. Voglio dire, per la tradizione il romanzo inizia con il Don Chisciotte che è stato davvero importante, anche per i russi. Ed è tutto incentrato sull’aspettativa che la tua vita sarà in un certo modo, hai la convinzione che la tua vita sarà elevata e grande, che andrai a uccidere un gigante e a salvare una donna. Ma in realtà esci fuori e c’è un mulino su cui ti schianti e devi tornare indietro. Penso che il romanzo riguardi questa incoerenza. E c’è qualcosa di molto vivido in quella sensazione di scollamento, il tempo si espande. Viktor Šklovskij, il formalista russo, sostiene che ciò che rende la scrittura letteraria sia la questione della defamiliarizzazione, il rallentare la percezione di ciò che succede con le parole e con il linguaggio. Normalmente quando per centinaia di volte sentiamo le stesse parole, perdono un po’ di fascino e di bellezza, diventano quasi sorde per noi. Quando ci imbattiamo nell’espressione “gatto nero” non ce lo stiamo davvero immaginando, è un automatismo. La lingua letteraria invece fa questo, rende le pietre più “pietrose”, descrivendole in maniera sorprendente. E parte di questo processo riguarda proprio il prolungare il tempo della percezione, non lasciarlo passare in maniera frettolosa. Credo che l’imbarazzo faccia questo nei miei libri, perché non puoi continuare come se nulla fosse successo. Sei bloccato in quel momento e devi trovare uno spazio di manovra per uscirne. E sono i momenti in cui ti senti più vivo.
Nell’epigrafe de L’idiota ho messo una citazione di Proust, dove parla di come, in quel momento particolare delle nostre vite che è l’adolescenza, tutto ci appaia così umiliante che faremmo qualunque cosa per cancellare certe esperienze vissute. Ma, in un certo senso, sono quelli i momenti in cui si impara tutto. Penso che l’imbarazzo di essere giovani sia tutto lì. Quando ancora non abbiamo tanti schemi mentali e formule su come comportarci. Ci sono ancora opportunità per lasciar andare le cose in modo diverso.
Ilenia
E qui ritorniamo alla naturalezza di Selin, nell’accettazione che le cose possono apparire fondamentalmente assurde. Parlando invece di scrittura, ho recentemente letto un libro che ha parecchie similarità con i tuoi, ed è I falsari di André Gide, un testo molto metaletterario in cui c’è questa definizione del romanzo come di un genere “senza leggi”. Penso che sia paradossale, perché anche se il romanzo è questa sorta di paese senza confini o regole, dove puoi fare qualsiasi cosa in termini di stile di scrittura, di sviluppo della trama e di evoluzione dei personaggi e così via, André Gide spiega che gli scrittori sono troppo spaventati, quindi tendono a essere più ortodossi, più convenzionali. Forse perché hanno paura di questa libertà? Ha ancora senso cercare di definire un romanzo così come un romanziere oggi? E se sì, come descriveresti i tuoi romanzi? Perché i tuoi libri non sono assolutamente guidati dalla trama, e immagino che alcuni lettori li considererebbero più vicini a un libro di memorie o all’autofiction. E poi, ti importa come vengono etichettati?
Elif Batuman
Mi è sempre piaciuto leggere romanzi, più che leggere nonfiction e saggi. Sapevo di voler essere una scrittrice, e i libri che mi hanno fatto sentire meglio nel corso della mia vita sono sempre stati romanzi. È questo che volevo fare anche per altre persone, quindi è stato molto chiaro per me che ciò che volevo scrivere era un romanzo. Poi ho finito l’università e ho capito che non avrei potuto semplicemente scrivere un romanzo e pubblicarlo l’indomani. Non sono riuscita a pubblicare nulla, perché negli Stati Uniti a quel tempo ciò che scrivevo era una sorta di pre-autofiction e l’idea condivisa invece era che non dovesse essere “fittizia”. Mi veniva detto che a proposito del mio primo libro – I posseduti – era chiaro che trattandosi di una turca-americana che studia letteratura russa stessi parlando di me stessa quindi avrei dovuto direttamente scrivere nonfiction. Però, per me, c’era qualcosa di importante nel considerarmi una romanziera e nello scrivere romanzi… c’era qualcosa invece di troppo disciplinante, noioso e piatto nell’idea di scrivere nonfiction. Poi è cambiato il panorama editoriale con Sheila Heti e Ben Lerner, e molti altri autori negli Stati Uniti hanno iniziato a scrivere autofiction. Ora tutti scrivono romanzi che parlano chiaramente di loro stessi. Quello che sto scrivendo adesso è ancor meno legato alla trama e più al corso dei miei pensieri rispetto persino ai miei libri precedenti. Ti dirò: forse sto scrivendo un saggio e non un romanzo. E allora? Molti romanzi come Guerra e pace per metà sono saggi. Quanto di Proust ne Alla ricerca del tempo perduto è composto da parti non narrative? Quindi non sono sicura di cosa significhi questa distinzione. Immagino che come scrittore devi scegliere ciò che ti fa sentire libero di esprimerti, vivo ed energico e poi scriverlo e basta. Qualunque riflessione astratta sul genere che stai scrivendo è qualcosa di separato dalla scrittura o forse dovresti lasciarlo definire a qualcun altro.
Ilenia
Ciò che ha risuonato in me leggendo i tuoi libri è anche il modo in cui Selin usa la letteratura per elaborare la sua vita. Anche questo la distingue dai canonici intellettuali, il fatto che non vuole estrapolare un significato oggettivo dai testi, ma rielabora e crea analogie originali da libri anche molto distanti dalla sua vita. In realtà, l’idea che ho di Selin è che il suo motore sia l’ignoto, il bisogno di comprendere qualcosa di enigmatico e strano. Come se il mondo intero fosse un mistero e lei avesse tutti questi indizi e pezzi da mettere insieme. E non so se confermerai questa idea o meno, ma anche l’amore che ha per la letteratura russa – che io condivido con lei – deriva proprio da quella distanza, da quella diversità, da quel mistero. Perché, è ovvio, Selin non vive le stesse esperienze del protagonista dei classici romanzi russi: i dilemmi religiosi, la crisi esistenziale, la tragedia del proprio destino.
Elif Batuman
Un parere che mi ha sorpreso molto ricevere sui miei libri è che siano in realtà titoli molto religiosi perché si cerca il significato della vita in dei testi esterni e si tenta di applicarli alla propria vita, e quello è il tipo di pensiero in cui provi a cercare di far corrispondere tutto a qualcosa che hai letto in un libro. È una sorta di pensiero religioso che mi era molto estraneo perché sono cresciuta in un ambiente fortemente laico. I miei genitori sono scienziati e non mi hanno impartito un’educazione religiosa. Sono entrambi medici turchi, hanno viaggiato molto, specialmente per il loro tirocinio, si sono trovati di fronte a tante morti inutili e orribili, a tanta sofferenza causata dalla mancanza di accesso alle cure e dalle scarse condizioni igieniche. Mi hanno cresciuta con la convinzione che si potesse migliorare il mondo attraverso la diffusione della scienza e dell’istruzione. Sono cresciuta con l’idea che i problemi materiali fossero più importanti di tutti gli altri, e ovviamente i miei problemi non erano materiali. Io avevo la penicillina. I miei problemi erano: qual è il significato di tutto? Ero sempre alla ricerca di qualche segno che ci fosse altro, che ci fosse un significato più profondo, che ci fosse un motivo… penso di aver sempre cercato una certa dimensione spirituale e l’ho trovata nei romanzi, e questa è una delle ragioni per cui sono stata attratta dai romanzi russi. Lì i problemi filosofici sono trattati quasi con la stessa serietà della scienza.
Ilenia
Ho trovato molto azzeccato il fatto che Ivan non sia così presente in questo libro. Molte persone reputano Ivan una figura ambigua, quasi spregevole. Personalmente, non la reputo tale. Perché penso che sia lo sguardo di Selin a proiettare su Ivan tutte le cose che lei non comprende su se stessa, sulle relazioni. Quindi credo che Ivan sia come tutti gli altri. È solo un ragazzo. Apprezzo anche il fatto che non avrà mai tutte le risposte su di lui, come capita spesso nella vita.
Elif Batuman
Sì, esatto. È la stessa conclusione a cui sono arrivata anch’io. Quando mi hanno chiesto di leggere l’audiolibro de L’idiota mi sono trovata a pronunciare ad alta voce anche le battute di Ivan. È stato facile leggere quelle di Selin perché corrisponde in gran parte alla mia voce, ma ho avuto davvero difficoltà con Ivan e il regista per aiutarmi mi ha chiesto: a cosa sta pensando Ivan in questo passaggio? E in quel momento ho realizzato che non lo sapevo. Come se non fosse basato su un’esperienza reale che io stessa ho vissuto per tutti quegli anni della mia vita, in cui tutto ciò su cui riuscivo a concentrarmi riguardava cosa stesse pensando quel ragazzo. Ma in realtà forse non ho immaginato come fosse stato per Ivan relazionarsi con Selin, ma solo come fosse stato per Selin relazionarsi con Ivan. È stata una esperienza molto intensa.
Ilenia
Durante il suo viaggio, Selin sviluppa un’idea diversa di letteratura e su come essere una scrittrice. All’inizio teme di essere troppo egocentrica e concentrata sulla sua vita. Cito: “era una vergogna essere così poco artistici e ossessionati da se stessi, da non voler inventare personaggi immaginari”. Ma poi qualcosa cambia e rifiuta le regole tradizionali su come dovrebbe essere un romanzo e trova la sua alternativa (quella che stiamo leggendo). Cosa cambia in lei?
Elif Batuman
Nella mia vita quel cambiamento, quella consapevolezza è arrivata molto più tardi, attraverso anni di terapia e letture. Per esempio, ho imparato molto cose da Proust. Lui considera il libro come un dispositivo con cui il lettore vede se stesso ed è per questo che non tutti i libri funzionano per le stesse persone e l’autore lavora per creare questo effetto. Una volta scritto il libro lo consegna al lettore dicendogli: ecco, ora guardaci dentro. È come un caleidoscopio in cui vedi davvero te stesso. Quindi tutto sommato si tratta di egocentrismo anche quando riguarda qualcun altro, quella distinzione io non penso di saperla fare. Gran parte del mio diventare grande – che è una frase strana da pronunciare dopo i vent’anni – consiste nel rendersi conto che non sono poi così diversa dagli altri. Questo è fondamentale per una scrittrice, perché quando descrivi tutte le cose intricate di te stessa, lo fai per qualcuno altro, per farlo capire agli altri. Non ha senso parlare solo di egocentrismo, quando si parla di scrittura. Insegno scrittura creativa e mi chiedo come e in che misura scrivere sia espressione di sé e in che misura sia comunicazione. Se scrivi solo per altre persone non apparirebbe significativo, sembrerebbe un compitino a casa o un lavoro, ma se fosse solo per te stesso, non ti prenderesti la briga di scriverlo. Sarebbe davvero troppo impegnativo, oltre che spiacevole, non lo faresti se non pensassi che qualcuno lo leggerebbe.
Ilenia
Presumo che tu riceva tantissime domande sugli elementi autobiografici nei tuoi libri. Devo ammettere che non mi interessa se qualcosa che leggo in un libro sia accaduto nella vita reale o meno, perché secoli di letteratura mi hanno insegnato che la finzione può essere vera, anche se non è reale. Ma mi chiedevo: ti provoca fastidio? Il discorso sulla tua vita e quanto della tua personalità metti in Selin e quanto della tua vita è rappresentato nei tuoi libri. Pensi che ci sia un pregiudizio sul talento nello scrivere autofiction? A volte sembra che se inventi tutto, allora sei uno scrittore più prezioso. Invece se racconti la tua storia e quello che ti è successo, vuol dire che il merito non è tuo, che sei stato solo fortunato.
Elif Batuman
No, non mi dà fastidio, sembra naturale perché quando leggo gli scritti degli altri, soprattutto quando c’è una sorta di dichiarazione di trasparenza come in Rachel Cusk o Sheila Heti, mi chiedo quante di quelle cose siano realmente accadute. Immagino di non sentire il bisogno di scoprirlo, non ho davvero bisogno di saperlo, non glielo chiederei ma inevitabilmente ci rifletto. Quello che mi mette a disagio invece è il coinvolgimento di altre persone nella scrittura. Perché ho deciso di diventare una scrittrice, di essere una sorta di personaggio pubblico e anche di scrivere materiale autobiografico. Ma come fai a scrivere di te stesso senza scrivere delle altre persone? Nessuna di quelle persone ha preso la tua stessa decisione, e questo rappresenta il massimo problema etico ed estetico, è la parte più difficile per me dello scrivere. Come scrivere della mia esperienza senza compromettere altre persone o scrivere cose che a quelle persone non piaceranno. Perché ognuno racconta la propria storia… la mia storia, che non è la loro. Mi sembra molto ingiusto e unilaterale per le persone che non sono scrittori. Non possono raccontare la loro versione.
Stavo leggendo alcune teorie psicoanalitiche. La psicoanalista Alice Miller ha scritto molto su Kafka e anche qualcosa su Joyce e Proust, e per lei fondamentalmente i luoghi immaginari in cui sono ambientati i loro libri sono luoghi in cui cercano di proteggere i loro genitori o una versione idealizzata dei loro genitori o della loro autorità o di qualcos’altro. Ho la sensazione che i romanzi non riflettano in qualche modo la realtà. Ce ne sono alcuni in cui si nota un’operazione di censura che si basa sulla vergogna e sull’idea che non si debba mostrare la polvere sotto al tappeto. Come se non ti fosse permesso di dire una certa cosa, e alla fine tutti si vergognano un po’. È una sorta di vergogna tossica. Se lo fanno tutti, allora perché qualcuno dovrebbe vergognarsi di dirlo? Penso che politicamente sarebbe una buona cosa l’erosione di quella vergogna, ma è complicata. Io posso decidere di impegnarmi a erodere quella vergogna, ma il mio ex ragazzo su cui sto scrivendo il libro magari non ha scelto di farlo. Quindi perché esporlo?
Ilenia
Non penso di avere una risposta definitiva nemmeno io, ma credo che sia il ruolo degli scrittori. Era Philip Roth a dire che i panni sporchi sono il business degli scrittori, mi sembra.
Se hai raggiunto questo punto, una medaglia d’onore per te. Spero che la chiacchierata ti sia piaciuta e che tu abbia apprezzato lo sforzo immane di parlare in un inglese maccheronico per 46 minuti di fila e poi dover trascrivere il tutto con l’aiuto molto poco sagace rispetto alle aspettative dell’intelligenza artificiale.
Prima di congedarti, qualche memo:
a fine anno, andiamo insieme in Giappone per il foliage, qui i dettagli per prenotarti (rimangono 10 posticini);
la prossima settimana arrivano gli approfondimenti su L’età dell’Innocenza, mattone americano che abbiamo letto tra marzo e aprile, a cui seguirà Ritratto di Signora di Henry James (che se parteciperai agli appuntamenti in libreria dovresti aver già iniziato, perché ci vediamo presto per discuterne);
il weekend del 4 e del 5 maggio ci vediamo a Chiasso Letteraria con due eventi a cui tengo tantissimo. Intervisterò anche Rachel Yoder, autrice di quel libro folle che è Nightbitch e parteciperò tra il pubblico all’evento di Claudia Durastanti. Qui gli appuntamenti. Se sei di Milano, scrivimi che prendiamo il treno del ritorno insieme!
Se hai dei suggerimenti su tematiche da affrontare, libri, meme e/o dritte di ogni tipo, scrivimi pure sui miei account social. Se vuoi informazioni sull’abbonamento scrivi a: info@nredizioni.it