Il campus novel: analisi di una fascinazione
Dalla satira al dark academia, dal genere storico a quello crime, perché il romanzo universitario non esaurisce la sua forza di attrazione?
Non importa quale sia la nostra età, in autunno (e non solo) l’attrazione verso il mondo accademico – che ricomincia proprio in questo periodo dell’anno – si risveglia in noi, ed è potente.
In letteratura sono stati scritti numerosi romanzi con ambientazione universitaria, tanto da dar vita a un vero e proprio genere: il college novel e più nello specifico, se ambientati in un campus, al campus novel (in questo articolo spesso li considereremo dei termini interscambiabili per comodità).
Si tratta, per lo più, di storie di formazione o di scoperta e cambiamento del sé (infatti, non tutti i protagonisti sono necessariamente giovani). D’altra parte, il college e, in particolare, il campus universitario diventano luoghi privilegiati in cui poter esercitare la propria indipendenza, in una bolla relativamente protetta. E gli scrittori amano gettare un petardo – carico di conflitti e tensioni – in un ambiente chiuso e controllato, per vedere cosa accade.
Il fatto che l’esperienza universitaria, poi, non solo sia limitata nello spazio ma anche nel tempo, favorisce il coinvolgimento del lettore, creando un senso di urgenza e trasformando il romanzo in un crogiolo emotivo.
Inoltre, il college novel ammalia il nostro lato più secchione: sono storie incentrate sull’imparare, sia sentimentalmente sia intellettualmente. Oggi è sempre più raro ritagliarsi nelle nostre vite frenetiche un tempo dedicato al nostro spirito, non soltanto alla produttività e al renderci efficienti. Non stupisce quindi che ci si rifugi con malinconia e nostalgia in questo tipo di narrazioni che ci ricordano un periodo in cui il nostro lavoro era imparare.
Ma sono tantissimi gli elementi che concorrono a rendere il romanzo universitario così allettante. Ne parliamo nell’approfondimento di oggi, chiedendoci: come mai questo genere si è diffuso soprattutto nella sfera culturale anglosassone, quali sono le sue origini e come si è evoluto nel tempo.
Un tentativo di definizione
Nell’Oxford Dictionary of Literary Terms si legge: il campus novel è “un romanzo, talvolta comico o satirico, in cui l’azione avviene all’interno del mondo universitario e che pone al centro la vita accademica”.
Meno semplice, però, è delimitare con precisione il perimetro del genere che, così definito, comprenderebbe un numero esorbitante di titoli come La macchia umana di Philip Roth, la cui trama è innescata proprio da una controversia linguistica tra un professore e i suoi studenti. Su questa scia, anche Vergogna di Coetzee potrebbe rientrare, con qualche sforzo immaginativo, nel genere.
Tuttavia, difficilmente vedrete annoverati questi due titoli nell’elenco di romanzi universitari. Questo perché nella formula generale del campus novel la vita universitaria non dev’essere un elemento narrativo di sfondo ma il centro propulsivo delle dinamiche e dei conflitti principali dell’opera. Non è poi importante se i protagonisti sono studenti o professori o dottorandi, ecc.
Come vedremo nell’analisi delle sue componenti specifiche che seguirà, questo piccolo aggiustamento nelle coordinate del campus novel non riduce affatto l’eterogeneità né la complessità dei titoli che compongono il genere.
Le origini del college novel e il binomio con la cultura anglocentrica
La sua origine è attribuibile all’unanimità agli anni Cinquanta del Novecento, in corrispondenza della pubblicazione di romanzi come The Groves of Academe di Mary McCarthy, Lucky Jim di Kingsley Amis e The Masters di C. P. Snow. Ma è negli anni Settanta che il genere incontra una popolarità destinata a crescere grazie alla Campus Trilogy di David Lodge (edita in Italia da Bompiani) – a cui seguiranno numerosi altri esempi – e trovando il suo acme letterario nel celeberrimo Dio di illusioni di Donna Tartt, che non smette di sfornare epigoni ancora oggi, nonostante siano passati più di trent’anni dalla sua pubblicazione (1992).